Benvenuto al binario 2

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ALLA STAZIONE DI SANTA MARIA NOVELLA DI FIRENZE UN HELP CENTER IN RISPOSTA ALLA MARGINALITÀ SOCIALE. QUANDO L’INTEGRAZIONE FRA PUBBLICO E PRIVATO FUNZIONA

«Il signor T. è un uomo italiano di 66 anni, con 20 anni di vita per strada, dimorante abituale della stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Dopo la perdita prima della madre e poi della casa e del lavoro, trova la strada dell’alcool e del vagabondaggio. Segnato nel fisico e nella psiche, ha vari incidenti e pestaggi, rischiando la morte 3 volte in un anno. Lo abbiamo trovato a un certo punto, dopo averlo cercato, in un ospedale, nel reparto di rianimazione. Abbiamo preso contatto con i servizi sociali e dopo la degenza verrà inserito in una Rsa».

«La signora P., arrivata in Italia da sola, clandestina e senza un lavoro, viene accolta provvisoriamente presso una signora. Si presenta all’Help center per fare il corso di italiano e qui, sentendosi accolta e sicura di essere aiutata, ci confida di essere stata violentata da un gruppo di uomini. L’abbiamo accompagnata ai Servizi sanitari e messa in contatto con il Centro antiviolenza Artemisia che le ha dato un sostegno psicologico. Illusa poi da un uomo violento e tossicodipendente che l’ha sposata, consentendole così di ottenere il permesso di soggiorno, è tornata da noi e abbiamo continuato ad aiutarla». «La signora S., senza fissa dimora (comunitaria Ue) e conosciuta da molti anni dal nostro Help center, è stata spesso accompagnata verso i servizi sanitari volontari del territorio. Essendo ammalata e non potendo accedere ai servizi sanitari perché senza una residenza, le è stata concessa presso la nostra Casa di accoglienza Casa Serena. Tramite il progetto “Oltre la strada”, poi, abbiamo avuto un contributo per farle l’assicurazione sanitaria. La signora oggi è inserita in una struttura di accoglienza e gode di una vita più serena».

Una storia tira l’altra e ognuna dice da sé quello che succede al binario 2 della stazione Santa Maria Novella di Firenze, come mi raccontano alcuni operatori. Basta stare qualche ora nella sede dell’Help center e si entra in contatto con… tutti i colori dell’umanità. Quando arrivo, ci sono due sedicenni albanesi giunti da poco in Italia, poi si susseguono una signora rumena da 25 anni nel nostro Paese, una giovane congolese, un italiano separato e senza più contatti con la famiglia di origine. Situazioni le più varie, denominatore comune la persona, da accogliere, ascoltare, aiutare.

Romano Tiraboschi, direttore del Centro dallo scorso settembre, conosce tutti quelli che passano, a volte anche solo per un saluto e per sentirsi incoraggiati a non mollare.

«Non è che riusciamo a soddisfare tutti i bisogni concreti – mi dice –, non di rado molto più grandi di noi, ma almeno diamo alle persone fiducia e speranza, le aiutiamo a risollevarsi e ci ringraziano anche solo per essere state ascoltate». Lui lavora qui grazie a un progetto di inclusione sociale avviato col Comune e finanziato dalla Regione che ha rafforzato la collaborazione, che c’è sempre stata, col territorio, la città, i servizi sociali. Qui la sinergia con le altre associazioni, laiche e religiose, è di casa. «Ogni giorno ci sono riunioni per affrontare le situazioni da vari punti di vista», aggiunge Tiraboschi.

Il Centro, tenuto dall’Acisjf (la prima associazione internazionale con uno statuto all’avanguardia per l’aiuto alle donne di ogni razza, religione, ceto sociale), esiste dal 1902, prima nella stazione vecchia di Firenze, poi, dal 1936 in questa, in un locale molto piccolo e successivamente, in accordo con Ferrovie dello Stato, in concessione gratuita nei locali attuali. Le aree di intervento vanno dall’ascolto e orientamento al territorio alla ricerca di lavoro con la stesura dei curriculum, all’erogazione di beni (pacchi alimentari,
indumenti, titoli di viaggio).

E ancora l’accompagnamento sanitario, il sostegno per l’aspetto burocratico, l’assistenza nei progetti di rimpatrio, uno sportello legale, la mediazione familiare. Qui si svolgono corsi di italiano, di inglese (ad esempio per le persone che lavorano negli alberghi), si tengono convegni per la prevenzione del rischio sociale rivolti alle scuole e ai giovani. E non di rado sono le stesse persone approdate all’Help center in stato di necessità a “insegnare” con la loro testimonianza. Come Pompeo, un passato da tossicodipendente e alcolista, una persona dalla ricca umanità, di cui racconteremo la storia in seguito.

L’Help center è strettamente collegato con Casa Serena e Camere Fuligno, spazi dati in gestione da Asp Montedomini, poco distanti dalla stazione, che accolgono mamme con minori, donne sole in cerca di occupazione o con alle spalle problemi di dipendenza superati, famiglie provenienti da sfratto esecutivo. Nel 2015 il monte ore del volontariato attorno all’Help center è stato di 10.511 ore. Fra lavoratori e volontari attivi sono coinvolte 57 persone. Tutta gente motivata, come Giannetta, non più giovane, in prima fila da anni. O come Eugenia, prossima alla laurea in Economia dello sviluppo, che mi confida: «Quello che ho imparato qui in due anni e mezzo dalle persone è molto più di quello che ho studiato. È il motivo che mi fa rimanere. Sono persone speciali, ti ringraziano per la cosa più semplice, diventi un punto di riferimento, ti raccontano le cose più profonde. E rimani ore in più di quanto previsto a parlare».

L’anima di tutto, comunque, è Adriana Grassi, presidente dell’Acisjf Firenze. Una “giovanissima” 80enne, con una lunga esperienza alle spalle, alla scuola di don Milani e don Ciotti. «La stazione è veramente impegnativa – mi racconta –, perché è il primo punto dove le persone arrivano. Se dai le risposte adeguate, indirizzi le giovani donne sulla buona strada, non tanto in un giro assistenzialistico, ma avviandole al lavoro, all’autonomia, all’integrazione, dove noi siamo fratelli e sorelle che le accompagnano. Puntiamo molto anche sul lavoro di rete fra pubblico e privato. Se le persone trovano una risposta immediata, è un costo minore anche per la società».

Le chiedo il segreto di una continuità che dura negli anni, in termini di persone e di risorse economiche. «Quando sono stata eletta – mi risponde –, l’assistente presente in stazione allora, mons. Renzo Forconi, un uomo di grande valore, mi ha detto: “Adriana, cerca di lavorare bene, il resto viene da solo”. Abbiamo puntato alla serietà dell’impegno, come ci richiede l’essere cristiani, perché pensiamo che il bene comune non sia solo un impegno dei politici. Ho la mia età, conosco il dolore e ne capisco il valore, ma non conosco né la noia né la fatica perché viene supportata dalla passione per quello che fai, dalla gioia di lavorare con gli altri. I fondi sono stati trovati sempre probabilmente per il riconoscimento al nostro lavoro per cui si riesce a fare progetti, a non camminare da soli. Tanti lavorano bene, forse la capacità di lavorare insieme premia».

di Aurora Nicosia

Fonte: Rivista Città Nuova n.7 | Luglio 2016 pp.44-46

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