Dopo una forte crisi avevo trovato la forza di tornare al mio lavoro di medico. Il primario conosceva il mio caso e mi seguiva con partecipazione, a dandomi gradualmente le responsabilità del reparto. Un pomeriggio arrivò al pronto soccorso un uomo sulla quarantina privo di sensi. Avvelenamento da barbiturici.
Quando si riprese e vide i nostri volti chini su di lui, supplicò: «Lasciatemi morire, non voglio più vivere!». Il primario me lo a dò perché era sicuro che io lo avrei capito. Per lunghi giorni quel paziente mi osservò senza parlare.
Dopo qualche giorno mi chiese perché non lo lasciavo mai solo. Ed io: «È perché conosco la tua disperazione e so che si può guarire e tornare a vivere. Anch’io ho tentato di uccidermi e mi sono allontanato da chi poteva aiutarmi, convinto che nessuno potesse capirmi. Ora sono grato a chi mi ha salvato: per questo vorrei ricambiare il dono, ridonando la vita ad altri». Dopo quel colloquio fu più facile ricostruire in lui la speranza.
D. L. – Italia
Fonte: Il Vangelo del giorno, Città Nuova, Agosto 2016, p.92