Il 14 marzo 2008 moriva Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari e a dieci anni dalla scomparsa è la “sua città”, Firenze, di cui la Lubich era cittadina onoraria, a ricordarla. “Conoscenze plurali” è il nome dell’evento dedicato a Chiara dal comune toscano che, nella magia senza tempo del Salone dei Cinquecento, si è fermato per un pomeriggio a riflettere sul messaggio di una donna che « ha dedicato la sua vita al dialogo » per la « costruzione di un nuovo mondo di pace ».
Era il 16 settembre del 2000 quando Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze, parlava così di Chiara Lubich, in occasione del conferimento alla donna della cittadinanza onoraria. Allora il capoluogo della Toscana era per la Lubich « città di dialogo e di incontro », la “città dalle porte aperte” che sognava anche Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta; oggi, nell’era del digitale e della terza rivoluzione industriale, quegli ideali sembrano più lontani che mai.
La tendenza del presente è alla parcellizzazione più che all’unità, alla diffidenza piuttosto che alla solidarietà, e proprio per questo il Comune di Firenze ha scelto di riattualizzare la figura di Chiara Lubich e il suo messaggio rivolto a tutti, credenti e laici, attraverso un incontro che ha approfondito una delle tematiche a lei più care: il dialogo.
Moderato dallo storico Marco Luppi, il convegno ha visto la partecipazione delle autorità cittadine di Firenze, rappresentate da Caterina Biti, presidente del Consiglio Comunale e di una lunga serie di ospiti legati alla Lubich da ideali, conoscenza personale, collaborazioni.
Da Aurora Nicosia, direttrice di Città Nuova, gruppo editoriale che è scaturito dal carisma di Chiara, ad Antonella Lombardo, coreografa e responsabile di “DANCELAB Armonia”, che proprio grazie all’incontro con la Lubich ha rivoluzionato il suo modo di fare arte e ha creato un progetto che va ben oltre la danza; poi ancora Silvia Cipriani, magistrato, membro della commissione “Dafne” per vittime di reati, Maurizio Certini, direttore del centro internazionale “La Pira” che a Firenze organizza attività formative e scambi culturali per studenti stranieri, e Stefano Luci, attore e regista, che con la sua arte ha portato nella bellezza del Salone dei Cinquecento la cruda realtà dei centri di accoglienza, l’apparentemente insanabile dicotomia tra ciò che è conveniente e ciò che è umano.Più altri, che hanno dato la loro esperienza di vita e di pensiero rinnovato.
Ma che cosa significa davvero quel titolo, “Conoscenze plurali”, che campeggiava sulle locandine dell’evento? Marco Luppi lo ha chiesto a due relatori d’eccezione, Antonio Maria Baggio e Lucia Votano, rispettivamente filosofo politico dell’Università Sophia di Loppiano e, la seconda, fisica, prima donna a dirigere i Laboratori nazionali del Gran Sasso nonché ex collaboratrice del CERN di Ginevra.
Le due risposte, contrariamente a quanto l’ormai dilagante luogo comune sulla conflittualità tra scienza e discipline umanistiche potrebbe far pensare, sono state convergenti: per Lucia Votano conoscere significa « connettere il cervello con ciò che esiste, guardare la realtà oltre le apparenze » e giungere, anche se con approcci diversi, a un valore universale, « non assoluto, ma condivisibile »; sulla stessa lunghezza d’onda, Antonio Maria Baggio ha definito la conoscenza come qualcosa che supera ogni frontiera, possibile soltanto a partire dal riconosc imento delle proprie radici, delle origini comuni che caratterizzano tutti gli uomini. Soltanto in questo modo è possibile una conoscenza, e più in generale una vita, “plurale”, indispensabile perché in un mondo sempre connesso l’uomo del futuro non può che essere, come Chiara Lubich aveva già intuito, “l’uomo-mondo”.
Sara Bichicchi