Sono stato ricoverato in ospedale per sottopormi ad un intervento chirurgico. Nella mia camera è stato portato un giovane rumeno gravemente ferito per essere stato investito da un treno, mentre attraversava i binari a bordo di un motorino nei pressi di un passaggio a livello incustodito. Pur nella disgrazia poteva ritenersi fortunato in quanto il violento impatto col treno ha fatto sì che fosse scaraventato lontano dai binari e quindi non essere investito, però ha subito la frattura del bacino e di altre parti del corpo. La cosa che mi meravigliava molto era che non si lamentava per il dolore quanto piuttosto aveva il rammarico di non poter più continuare a lavorare. Era infatti entrato clandestinamente in Italia e raccoglieva pomodori per aiutare la famiglia rimasta in Romania.
Intanto la stampa locale lo aveva dato per morto ed egli era disperato perché non aveva nessuna possibilità di contattare e rassicurare i suoi familiari. Il giovane era arrivato sporco e privo d’indumenti e la cosa che più mi addolorava era che nessuno si curava di lui.
Sentivo che non potevo starmene indifferente e così ho sollecitato gli infermieri a fare qualcosa, chiamare un’assistente sociale, contattare la famiglia. Ma la risposta è stata: “È un clandestino, la sua situazione non è regolare, ecc. ecc.”. Allora ho chiesto a mia moglie di portare degli indumenti, del sapone, degli alimenti e intanto cercavo il modo di aiutare il ragazzo a contattare la famiglia. Stando in ospedale non è facile darsi da fare, però pregavo, con la fiducia che Dio non avrebbe abbandonato questo suo figlio bisognoso d’aiuto.
L’indomani sono arrivate alcune volontarie dell’A.V.O. che ci chiedevano se avevamo bisogno di qualcosa. Subito ho fatto presente la situazione di quel ragazzo che doveva essere assolutamente aiutato. Così mandano un volontario che scopro essere un mio collega di lavoro, un vigile urbano in pensione come me, il quale si è subito messo a disposizione e nel giro di poco tempo è riuscito a contattare la famiglia.
Il giovane ha potuto così avere un colloquio con la madre che ormai lo credeva morto. È stato per noi lì presenti un momento di forte commozione perché percepivamo tutto lo strazio e l’angoscia di entrambi.
Il giovane poi si è molto rasserenato e la cosa che a me è sembrata più bella è stato che attorno si è ridestata la solidarietà. Infatti, un signore ricoverato nella nostra stessa camera, molto scontroso e chiuso in se stesso, rendendosi conto durante la notte di un bisogno del giovane, completamente immobilizzato, si è alzato ed lo aiutato.
Anche il personale e i medici cominciavano ad avere un atteggiamento di maggiore disponibilità e io mi dicevo che davvero l’amore riscalda il cuore di chi lo riceve e di chi lo dà.
Antonio Vaira