La mia esperienza di Cappellano del carcere

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Ho prestato il servizio come “cappellano del carcere” per sette anni, poi per seri motivi familiari ho chiesto la sostituzione, tuttavia faccio ancora parte della “Cappellania del carcere” e cerco di andare una volta la settimana. All’inizio avevo espresso il desiderio di potermi impegnare, oltre che in parrocchia, in qualche servizio caritativo diretto. Il Vescovo aveva apprezzato questa disponibilità e mi aveva fatto presente una necessità riguardante il carcere. Infatti aveva già chiesto ad altri sacerdoti e non riusciva a trovare un nuovo cappellano. Dopo aver parlato con altri collaboratori (un Frate francescano, un diacono sposato e altri ex cappellani) ho accettato questo incarico.

Questa esperienza non è stata facile, prima di tutto per il pesante “sovraffollamento” (si è arrivati a più di 1.000 detenuti, più del doppio di oggi; in dodici metri quadrati si trovavano stipati quattro reclusi). Ovvio il “malessere” generale e i vari problemi di violenza che scaturivano da questa forzata convivenza. È da sfatare l’idea che in carcere ci siano solo “delinquenti”! Sì, ci sono anche persone che hanno scelto degli stili di vita sbagliati, ma la maggior parte sono persone afflitte da varie “povertà”!

Povertà materiali, ma anche di educazione, di affetti (quanta solitudine c’è in carcere!), povertà a livello psicologico (tanti hanno problemi mentali e “dipendenze” di vario tipo che portano a compiere tanti errori). Tante volte mi son chiesto: «Se mi fossi trovato al loro posto, in quell’ambiente sociale, in quella famiglia, in quella situazione di povertà … chissà come avrei agito anch’ io!?».  Ci sono persone che giustamente sono in carcere, ed è un bene che siano state fermate. Ma ce ne sono tante altre che avrebbero bisogno di un aiuto diverso.

La maggioranza è composta da giovani! Il carcere dovrebbe offrire spazio al recupero della persona, cerca di farlo attraverso il lavoro, la scuola e varie attività promosse da figure professionali come educatori, assistenti sociali, psicologi e volontari … grazie al Cielo ci sono varie associazioni di volontari, ma le varie attività sono sempre insufficienti rispetto ai bisogni. Le persone detenute possono usufruire anche di permessi e misure alternative al carcere … Queste servono per il loro recupero in vista di un reinserimento positivo nella società. La detenzione non deve essere solo punitiva, ma anche riabilitativa, deve aiutare cioè le persone a non ricadere più negli sbagli fatti. Ho visto giovani che, facendo delle esperienze di servizio, a contatto per esempio con i disabili, o facendo dei lavori socialmente utili, hanno iniziato nuovi percorsi di vita.

Ci sono 3 passi della Sacra Scrittura che mi hanno illuminato in questo servizio di “Cappellano del Carcere”:

  1. Il capitolo 25 di Matteo: “Ero in carcere e tu mi hai visitato”:

Non aspettavo soltanto in ufficio i detenuti che facevano richiesta di parlare, ma cercavo di andare a “visitare” tutti nelle loro celle, senza distinzione di nazionalità, di religione … o di reato commesso.  La visita consisteva nel salutare, dare la mano, interessarsi della famiglia, nel chiedere se avessero bisogno di qualcosa (soprattutto telefonate o messaggi per le famiglie: il Cappellano infatti tante volte è l’unico collegamento con la famiglia). Piccoli gesti, che aiutavano le persone a tirare fuori la parte migliore di sé stessi, quell’umanità che tutti abbiamo dentro di noi.

Ad esempio un detenuto nigeriano che era in massimo isolamento perché aveva dato fuoco alla cella ed era considerato pericoloso. Un giorno, anche se sconsigliato da tutti, vado davanti alla sua cella. Ascolto per più di mezz’ora il suo rabbioso sfogo contro tutto e contro tutti. Alla fine con semplicità gli chiedo: “Posso fare qualcosa per te?”. Quel ragazzo nigeriano si è per un attimo calmato e mi ha confidato che doveva esser nato in quei giorni suo figlio. Quindi mi dà il numero di cellulare della sua compagna slovena. Esco dal carcere (dentro non si può assolutamente portare il cellulare) e telefono a questa ragazza che mi conferma la nascita del figlio, e dà qualche informazione del bambino. Ritorno dentro, faccio i complimenti al neo papà e racconto quello che mi ha detto la mamma. Da quel giorno quel ragazzo è completamente cambiato ed è diventato una persona nuova. 

  1. Luca cap. 4­: nella sinagoga di Nazaret Gesù legge Isaia: “Mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione …”

È la libertà che passa attraverso una confessione liberatrice (preceduta da molti colloqui di preparazione) e dall’ascolto della Parola di Dio (ogni sabato mattina si meditava insieme con un gruppo “internazionale” la Parola di Dio della domenica, e si preparavano insieme delle Preghiere dei fedeli in varie lingue). Una libertà che si può sperimentare anche nel fare dei piccoli gesti di amore e di solidarietà in un ambiente così duro e ruvido come il carcere.

  1. Genesi cap. 4: la figura di Caino.

Prima Dio fa prendere coscienza a Caino del male fatto (“la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”). Poi però dà a Caino un“segno” di protezione, per proteggerlo dalle vendette. Quindi Caino ha un figlio, Enoc, e fonda una città. Noi di solito ci fermiamo al fratricidio, ma Dio dà la possibilità anche a Caino di un domani, di avere un figlio e di dare un contributo positivo alla società diventando fondatore di una città. Una persona veramente cambia, quando sente il bisogno di assumersi le sue responsabilità e di riparare al male fatto facendo del bene. È importante dare la possibilità alle persone detenute di sentirsi utili, di riscattarsi facendo cose buone.

M. S:

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