In questo periodo segnato dall’emergenza Coronavirus, facciamo circolare delle buone pratiche di fraternità che si vivono quotidianamente.
In Alto Adige la realtà del Coronavirus senz’altro fino domenica scorsa, 8 marzo, si è sottovalutato. Con il decreto del 8 marzo ci siamo risvegliati in modo brusco. Infatti anch’io dovevo vedere come fare. Era già in programma un funerale per lunedì al quale avrebbero voluto venire ca. 400-600 persone. Era una persona molto nota e una volta molto attiva in tante associazioni e i parenti sono in parte anche collaboratori stretti in parrocchia.
Abbiamo dovuto cambiare tutto. Era un grande dolore. Abbiamo fatto come previsto un semplice commiato in cimitero, però con tanta gente fuori il cimitero – con distanza l’uno dall’altro. È andato bene, ma avevo un grande “mal di pancia”.
Il giorno dopo – proprio per proteggere i miei collaboratori stretti dell’ufficio parrocchiale, visto che fanno parte della categoria di alto rischio – ho fatto chiudere l’ufficio parrocchiale per il contatto diretto. Siamo raggiungibile via telefono. Dall’altra parte sentivo per telefono alcune persone che non volevano mollare per forza di incontrarsi in chiesa a pregare insieme.
Anche lì serviva molta comprensione del loro stato d’animo, ma anche la fermezza nel spiegare bene il dovere da compiere bene la volontà di Dio in questo momento, aiutandoli che quest’anno siamo chiamati in un altro modo di vivere la quaresima: far digiuno non solo nel ricevere l’Eucaristia, ma anche di pregare insieme in chiesa; e scoprire invece l’alto valore di incontrare Gesù nella sua Parola, nel pregare in casa coi famigliari, nell’amare e incontrare Gesù nel prossimo in casa.
Don Andreas