Sono un’insegnante di scuola secondaria in pensione da un anno e mezzo. Da qualche tempo aiutavo nei compiti una bambina di quarta elementare, su richiesta delle maestre e dei genitori che conoscono molto poco l’italiano.
Veniva da me una volta o due la settimana e stava facendo progressi perché si sentiva più sicura, mi riferivano le insegnanti. Quando, il 24 febbraio, le scuole in Lombardia sono state chiuse per l’emergenza “Coronavirus”, mi sono sentita chiamare in causa: ora i compiti erano reperibili sul sito della scuola, dove le maestre pubblicano anche video con lezioni per portare avanti il programma.
Ma a casa della mia “alunna” non c’è un computer… Il commento alla Parola di vita dice, tra il resto:”Chiediamoci cosa ci aspettiamo noi…anche consiglio, orientamento, istruzione…”.
Per mettere in pratica la “Regola d’oro” ho pensato che, come i medici pensionati rientravano in servizio, così avrei potuto fare io come insegnante. Ho proposto alla bambina di venire tutti i giorni a casa mia, per studiare e fare i compiti, come se fosse a scuola. Abbiamo cominciato, con sorpresa e gioia delle maestre. Ma, poco dopo, con le nuove norme, non è stato più possibile uscire.
Ora l’unico modo di aiutarla era inviare i compiti al cellulare del papà e con telefonate. Ma ero preoccupata: a casa la bambina avrebbe lavorato?…ha poco spazio e tre fratellini più piccoli. Invece, dopo pochi giorni, mi arriva un messaggio vocale: “Maestra, ho finito tutti i compiti! Se ce ne sono altri, me li puoi dare?”.
Giovanna