Portare la gioia

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Lavoro in un ufficio pubblico e in questo tempo di emergenza coronavirus tra tutti c’è paura, smarrimento e incertezza sul da farsi. Lo smart working è davvero difficile da realizzare nella Pubblica Amministrazione e non ci sono indicazioni chiare ed univoche.

Questo porta spesso a sfogarsi in discorsi a volte sterili e poco razionali in cui si critica tutto e tutti. All’inizio, forte dell’esperienza di unità che vivo da tanti anni, volevo portare un po’ di speranza cercando di valorizzare il positivo che comunque c’è intorno a noi, informando di quei gesti di solidarietà e fraternità di cui ero venuta a conoscenza, ma avvertivo che cadevano nel vuoto.

Allora dentro di me è avvenuto il primo cambiamento: ho sentito forte che per poter essere canale dell’Amore di Dio anche ai miei colleghi dovevo farmi loro prossima guardandoli come miei fratelli. Da questo sguardo nuovo ho visto chiaramente che il loro primo e reale bisogno era quello di parlare tanto e di esprimere tutti i sentimenti e le emozioni umane che provavano.

Così mi sono messa in un ascolto sincero e senza pregiudizi, cercando di essere “al servizio” delle relazioni tra tutti, spendendo qualche parola in più per avvicinare posizioni diverse oppure con telefonate e messaggi anche fuori dell’orario di lavoro, finalizzati a costruire rapporti e sostenere.

In una di queste telefonate avevo saputo che per il collega sindacalista era stata una giornata molto dura di forti tensioni con il suo superiore. Ho cercato di mettermi nei suoi panni e alla sera gli ho mandato un messaggio di ringraziamento per tutto quello che fa per tutelarci e anche il suggerimento, da sorella, di avere cura di sé e non tirare troppo la corda. La sua risposta immediata: “Mi hai davvero riempito di gioia con le tue parole, grazie davvero!”.  

C. S.

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