Una rete di persone del Movimento dei Focolari in Italia, a vario titolo (per volontariato, professione e impegno sociale e civile), opera nel mondo dell’immigrazione. Tra di loro Maria Cristina, avvocato a Piacenza, si sta impegnando a contattare alcune famiglie dei Focolari che tra i mesi di agosto e settembre 2021 hanno offerto la propria disponibilità a ospitare minori afgani in fuga dal Paese, giunti in Italia con il ponte aereo. “Hanno sentito questo desiderio, quindi ci hanno contattati. Il gruppo si è messo subito a disposizione per comprendere, formarsi e informare”, racconta, spiegando come l’accoglienza in Italia per chi arriva senza nulla sia disciplinata da normative stratificate negli anni, di derivazione internazionale, comunitaria e nazionale.
Un aspetto che ha colpito Maria Cristina è che le famiglie che si sono offerte per accogliere sono già numerose al loro interno, con figli in età scolare con i quali hanno condiviso questa scelta, nella misura in cui i bambini hanno l’età sufficiente per comprenderla. Due famiglie hanno uno dei due genitori di origine straniera. In un altro caso un genitore ha fatto esperienza di affido di un minore straniero nella propria famiglia di origine. Questi elementi fanno pensare che si tratti di famiglie aperte alla vita. Maria Cristina le ha invitate a riflettere, frenando l’iniziale entusiasmo e spiegando loro che per accogliere un minore è necessario un provvedimento del Tribunale per i Minorenni e prima ancora un percorso da intraprendere in famiglia. Per accogliere un giovane in una situazione così delicata occorre una formazione che si acquisisce frequentando incontri organizzati dai servizi sociali nei territori di residenza.
Il Movimento non offre in modo diretto questo tipo di formazione, sebbene proprio nelle scorse settimane un altro avvocato immigrazionista del gruppo, tramite una rete di associazioni rivolte all’infanzia tra cui Azione per Famiglie Nuove Onlus, abbia coordinato un corso on line per sensibilizzare alla figura del tutore di minori stranieri non accompagnati. Le famiglie vengono comunque indirizzate e sostenute, è infatti importante che dietro al nucleo familiare ci sia una comunità che faccia da contorno.
Altro aspetto rilevante che spiega Maria Cristina: al momento non possono essere presi in affidamento bambini afgani perché la loro accoglienza è gestita dal Ministero dell’Interno, ma ci sarà la possibilità di una “seconda accoglienza”, anche di nuclei familiari. Prima i bambini vengono inseriti nella società, iscritti a scuola e imparano la lingua italiana. Si tratta di una fase gestita a livello istituzionale, che non garantisce che poi i ragazzi siano in grado di camminare da soli. Inoltre una volta che si dà la disponibilità ad accogliere si rimane aperti a tutti i giovani che possano avere bisogno, non è una questione di nazionalità. C’è tanta necessità di porte aperte soprattutto per quei minori che raggiungono la maggiore età, per i quali termina il percorso di accoglienza. A diciotto anni è difficile che un ragazzo abbia dove stare e possa guadagnarsi da vivere, perciò è alta la probabilità che rimanga privo di supporto, soprattutto se non ha vicino reti solidali di riferimento. Maria Cristina riflette: “Penso che quello che sia scattato in queste famiglie sia stata una spinta a donarsi e a mettersi in gioco, ma anche il desiderio di sentirsi accompagnati in questa disponibilità”. È un’occasione per unire quanti vivono la spiritualità dell’unità in Italia attraverso la cultura dell’accoglienza. Una delle coppie contattate ha maturato il proposito di condividere con la propria comunità questa scelta, sensibilizzando a collaborare con le realtà di volontariato e sociali nel territorio, per portare calore e vicinanza. “Accogliere non è niente di romantico: è impegnativo e sfidante. Queste persone vivono la sofferenza, magari anche rabbia e vulnerabilità. Chi è arrivato non ha studiato a tavolino la partenza dal proprio Paese, e quasi mai ha scelto il momento e il modo di giungere in Italia. Dovremmo chiudere gli occhi un attimo e pensare come ci sentiremmo noi in un Paese straniero, soli e con tante difficoltà e paure da affrontare”.
Miriana Dante