Focolari e migranti: Cooperativa “Una Città Non Basta”

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Gianni Caucci, imprenditore appassionato di musica, dirigeva il coro della parrocchia quando ha deciso con i componenti di allargare i rapporti positivi che si erano creati tra loro alla comunità circostante. Nel tempo si sono avvicinati agli altri, venendo a conoscenza di tante situazioni diverse, anche di grandi difficoltà economiche, così hanno iniziato a raccogliere beni, cibo, soldi e tempo, per donarli a chi ne aveva bisogno.

Si è creata una rete che è diventata un’associazione di volontariato chiamata “Una città non basta Onlus”, allargatasi sempre di più fino a far nascere l’esigenza di rendere un “servizio” più concreto alla comunità e avere una soddisfazione personale, visto che bisognava dedicargli sempre più tempo e aumentavano le richieste di aiuto e sostegno.

Nasce quindi la Cooperativa “Una Città Non Basta impresa sociale”, in cui ora lavorano operatori come psicologi, assistenti sociali, operai, muratori e avvocati. Infatti, oltre alla necessità di figure professionali per gestire situazioni delicate, un aiuto importante arriva dall’ambito lavorativo, che dona agli assistiti dignità e libertà.

La Presidente, Maria Rosaria Calderone, si dedica interamente alla Cooperativa, che ha una sede a Marino, dove si coordinano tutte le attività ed è attivo il  PIS (Pronto intervento Sociale), servizio per senza fissa dimora nei Comuni di Marino e Ciampino, con accoglienza serale/notturna insieme ad un N. Verde per l’aiuto e l’assistenza  Sociale.  Altra sede sul territorio è a Velletri, un edificio che apparteneva al Don Orione, diventata casa per famiglie migranti da dieci anni. Inoltre “Una Città non Basta” ha dato impulso ad un ulteriore progetto, ristrutturando una casa che verrà adibita all’accoglienza di donne vittime di violenza, a seguito di un bando indetto dal comune di Roma, vinto dalla cooperativa che tuttavia è stata l’unica ad aderire.

L’accoglienza è verso tutti coloro che sono emarginati, come ex tossicodipendenti in buone condizioni fisiche e mentali che ancora non vengono ufficialmente accettati dalla società. La Cooperativa affianca e sostiene le persone, diventando molto importante per le vite che incontra. Una signora che si trovava in grandi difficoltà, racconta Gianni Caucci, gli disse che nessuno nell’ultimo periodo l’aveva cercata, neanche i suoi familiari, se non le persone della Cooperativa.

Una famiglia afgana numerosa è accolta a Marino. Tra i componenti un bambino a cui Gianni ha aggiustato la macchinina telecomandata, che è arrivato in Italia con la mamma e la sorella tramite i ponti aerei del 30 agosto 2021. Con tante altre persone accolte, stanno imparando la lingua grazie al lavoro di docenti volontari che si recano periodicamente al centro. Si cerca di capire quali siano i sogni, i desideri e le capacità di queste persone, in modo che possano un giorno uscire dai centri di accoglienza e rendersi indipendenti.

Non avendo scelto di venire in Italia, a volte mostrano difficoltà nell’accettare la loro situazione. Una ragazza accolta dalla cooperativa continua ad avere il desiderio di tornare nel paese di origine, forse perché ha lasciato degli affetti quando è partita, sebbene la situazione sia molto complicata.

Altro episodio di cui ci rende partecipi Gianni: un giorno Maria Rosaria è entrata in ufficio lamentando che i bambini accolti avevano bisogno di giubbotti. Dopo qualche remora presentata dalla contabile, che le mostrava i pochi fondi a disposizione, comunque comprarono queste giacche, per una spesa di circa trecento euro. Il caso ha voluto che tornate in sede, alla visualizzazione dell’estratto conto, avessero ricevuto una serie di bonifici di una somma più o meno corrispondente a quella spesa, fatti da persone che liberamente donano per sostenere i progetti.

Far funzionare la Cooperativa è un lavoro impegnativo, portato avanti con fatica e speranza per il futuro. Gianni Caucci racconta come si sia ispirato al pensiero di Chiara Lubich: rendere concreto l’amore. Dopo la sua morte si è sentito in dovere di agire: “Forse non sono la persona più adatta a esprimere il pensiero di Chiara a parole, ma sento il dovere di provare a metterlo in pratica, per quanto ho ricevuto nella vita”. Ha parlato della libertà di esprimersi, di donare ed essere ricambiati: “Anche un caffè può essere mezzo di felicità e relazione, oltre che un segno di parità, se è un dono”.

Sia Gianni Caucci che Maria Rosaria Calderone hanno insistito sul tema dell’integrazione, sotto una prospettiva capovolta: dobbiamo pensare non solo alle persone che vengono accolte ma anche a chi accoglie. Non si è sempre pronti al diverso, anzi se ne ha paura, è importante perciò creare dei ponti tra le comunità locali e le realtà di accoglienza, mettendo in relazione le persone nella quotidianità.

Lavorare nella cooperativa dà soddisfazione e gioia, proprio in virtù dei legami che si creano. I volontari insieme ai lavoratori sono sempre in fermento, impegnati e totalmente dediti alla loro attività. Gianni Caucci, persona molto gioviale, aperta e desiderosa di raccontarmi le vicende della Cooperativa, non nasconde che ci possano essere degli scontri perché si è di culture diverse, si vive in tanti e insieme. L’importante è confrontarsi per cercare di raggiungere un “sentire” comune. Così conclude, mentre beviamo un caffè.

Miriana Dante

SITO WEB UNA CITTA’ NON BASTA

SITO COOPERATIVA

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3 Commenti

  1. Articolo molto interessante e ricco di contenuti che ci avvicina alla realtà in cui ci troviamo a vivere ed ai valori di ospitalità e fratellanza . Grazie

  2. Occasione preziosa di vivere a corpo i bisogni di tanti fratelli, condividendo e creando occasioni di lavoro sostenute dalla provvidenza .

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