Immedesimarsi nella situazione degli altri

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La ragazza col peluche

Lavoro in una comunità che accoglie ragazze straniere vittime di tratta. Un giorno mi viene segnalata una minorenne dell’Est europeo scappata di casa. Quando ho modo di contattarla, mi trovo davanti una diciassettenne dallo uno sguardo triste e impaurito, che abbraccia un piccolo peluche.

L’aiuto a sistemarsi; poi le offro da mangiare, ma lei rifiuta. Cerco di immedesimarmi più che posso nella sua situazione e, pensando di farle cosa gradita, le preparo una cioccolata e gliela porto in camera. Questo gesto scioglie subito il ghiaccio. Lei ha sempre quello sguardo triste quando iniziamo a parlare.

Pian piano, in un italiano stentato, mi racconta la sua storia di povertà e di sofferenza. L’in- domani continuo ad andare a trovarla in camera sua. È sempre avvinghiata al suo peluche e insiste nel rifiutare il cibo. Le chiedo di seguirmi in cucina e mi accorgo che solo se le resto accanto riesce a mangiare qualcosa. Quando la ragazza, dopo mesi, decide di tornare al suo paese, trovo sulla scrivania il suo peluche con scritto «Non mi dimenticare!»

Vaccini e giudizi

Dopo aver parcheggiato l’auto, accompagnai un’anziana, che camminava a fatica, fino al luogo dove doveva vaccinarsi, che era anche il mio. Durante tutto il tragitto, lei non aveva fatto altro che parlar male del medico che l’aveva messa in lista, sfoderando tutta una serie di improperi. Conoscevo quel medico e di lui io avevo tutt’altra opinione.

Ascoltai le rimostranze della nonnina, ma quando lei mi lasciò spazio per parlare le feci notare che in tempi difficili come questi della pandemia i medici si rivelano degli eroi, non si risparmiano, rischiano la vita… Al che lei rimase in silenzio per un po’.

Quando riprese a parlare, ricordò ancora qualche momento in cui non si era sentita trattata bene, ma aggiungendo: «Sì, come lei dice, sono loro che stanno rischiando per noi. E poi so che quel medico ha dei grossi problemi in famiglia». Quando arrivammo a destinazione la nonnina riconobbe di aver sbagliato. Le offrii di prendere il mio posto, e lei: «Forse era necessario questo sbaglio perché lei mi ha insegnato che devo frenare la lingua e non giudicare».

Emarginato

Da pochi giorni ho cambiato azienda. Nel nuovo ufficio non ho tardato a notare, tra i miei dipendenti, un collega emarginato dagli altri, al quale nessuno rivolge la parola e vengono affidate le mansioni più umili, che nessuno intende fare.

Riconoscendo in lui un Cristo sofferente da scegliere e prediligere, lo avvicino con delicatezza e gli affido compiti sempre più di responsabilità, infondendogli fiducia. Qualche giorno dopo una signora bussa alla porta dell’ufficio e si presenta come la moglie di quel collega. Con mia sorpresa vuole conoscere colui che ha fatto sì che suo marito abbia ripreso a dialogare in casa

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 5, settembre-ottobre 2021)

 

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