Stefania ce l’ha fatta!

Si avvicinava il Natale. Stefania mi chiese se l’avrei potuta aiutare a incartare per bene i regalini per tanti bimbi di cui si sentiva “zia” ed io accettai volentieri. Il giorno fissato squillò il telefono. Era Stefania che, desolata, mi avvisava che non sarebbe venuta, aveva un gran mal di gola e andava a letto. Trascorsi alcuni giorni mi arrivò un messaggio: “Mi stanno portando in ospedale”. Tentai di rispondere e richiamare, ma non ricevevo risposta, perciò, attraverso un cugino, riuscii a sapere che Stefania era ricoverata all’ospedale del capoluogo, nel reparto Covid.

Seguirono giorni di silenzio, poi arrivò un mail con la sua foto: Stefania non poteva parlare né muoversi, era con il respiratore e le servivano diverse cose. Mio marito Aldo, era turbato: “Non andrai in casa sua…c’e il virus, e poi in ospedale? Ma sai cosa rischi? Prendi almeno i guanti …e come farai a raggiungere la città e guidare? Non portarmi a casa il Covid”. Lo rincuorai, anche se io pure avevo un po’ di timore; ma Stefania viveva sola, ed ora era Gesù abbandonato e aveva bisogno di tutto, non potevo lasciarla; l’amore non deve temere nulla.

Andai a recuperare le chiavi del suo appartamento, presi alcuni indumenti e con coraggio mi misi alla guida: faticavo, avevo dolori alle gambe, ma nel silenzio andavo avanti e mi sentivo pronta a tutto. Ogni giorno le inviavo messaggi gioiosi, facevo acquisti di cose intime e igieniche, e cercavo di raggiungerla per non privarla dell’indispensabile. Alcune sue amiche mi consegnavano pensieri: era un’occasione per costruire un rapporto amichevole con persone sconosciute.

Dopo vari giorni Stefania iniziò ad alzarsi, a mangiare, e desiderava un pezzo di pane speciale. Un’amica voleva portarglielo, perciò mi chiese come doveva fare; le descrissi il percorso e alcune regole come il Green Pass, ma qui crollarono le speranze: non l’aveva, come pure tutte le altre amiche. Chiara si mise in contatto con me e preparò il pane che Stefania gradiva, poi io l’avrei portato.

L’appuntamento era alla stazione e fu una bella conoscenza, lei giovane ed io anziana; mi chiese se fossi una zia o una cugina di Stefania. No -rispondo – non sono una parente. – E perché allora va? – Io la conosco da quando è nata, ed ora sono una nonna e le voglio bene. Aprimmo così il nostro cuore ad un piccolo dialogo . E’ stato un far nascere Gesù tra noi e ci salutammo con un sorriso.

Dopo alcuni giorni mi giunge un messaggio “Oggi pomeriggio torno a casa! Grazie Carletta!” . Che gioia! Corro a casa sua, appendo nell’atrio dei palloncini colorati e sul tavolo lascio un pensiero di Natale con dei disegni e un dolce, mentre con lo sguardo osservo i vari regali per i “nipotini” ancora sparsi ovunque per la casa, che la “zia” con il tempo avrebbe consegnato; perché ogni giorno è Natale. Chiudo la porta, consegno le chiavi alla vicina di casa e assieme condividiamo questa felicità: Stefania ce l’ha fatta.

Carla