Pasqua con gli ucraini ortodossi

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È tardi e sono anche stanco. Ciò nonostante, vorrei raccogliere alcuni sentimenti nati in questa giornata. Oggi i nostri amici ortodossi hanno celebrato la Pasqua. Ho voluto rappresentare la comunità parrocchiale, rendendomi presente nella sala dove la comunità ucraina la celebrava, guidata dal loro sacerdote Padre Vasil.

Ho contribuito alla celebrazione di questa Pasqua speciale, aiutandoli a cercare una sala e confrontandomi con il Vescovo e il Vicario generale. È stato un percorso non del tutto facile, ma che ha approfondito i rapporti di amicizia con Padre Vasil e anche con la comunità ucraina presente nella città. Posso dire che è avvenuto un avvicinamento fraterno, tale che la comunità stessa mi ha riconosciuto parte di loro, mi ha accolto come amico e come sacerdote.

Avevamo pensato, con alcune persone della comunità, di renderci presenti in questo momento di gioia, sapendo che si trattava di una Pasqua particolare nella storia dell’Ucraina. Pur esultando per la Pasqua di Gesù Risorto, si leggeva negli occhi e nelle espressioni esterne, che la gioia era frammista al dolore per l’invasione subita e i cari persi in questa terribile guerra. Sentivamo tuttavia, che la Pasqua è un segno di speranza e volevamo essere presenti e aiutarli a viverla bene.

Quando insieme ad Elisabetta, a Luisa e a Lina, sono entrato nella sala della celebrazione, vi assicuro che ho provato un’emozione profonda. Non sentivo la divisione tra noi cattolici e gli ortodossi, ma sentivo che eravamo una sola grande famiglia che esprimeva la preghiera in modo diverso, ma bello. La diversità del culto, dei colori, dei canti non è un ostacolo, non è un muro ma è un valore aggiunto. Questo sentivo nel mio cuore.

Padre Vasil mi abbracciava e diceva delle cose belle sul mio conto e io sentivo crescere dentro di me le parole di Gesù e la sua invocazione rivolta al Padre: “Padre che siano una cosa sola, come io e te”. In quel momento, sentivo che l’unità era la cosa più grande e più bella che potevamo sperimentare.

E poi come descrivere quei colori, quei visi e tutta la bellezza e l’armonia di quella celebrazione? Era qualcosa che penetrava l’anima e restava dentro. Si avvertiva la presenza di Gesù che trasmetteva una grande pace. Una pace che non mi ha lasciato più, per tutta la giornata. Alla fine di questo giorno devo dire che il mio cuore si è allargato, sono più ricco, ho nuovi fratelli, una famiglia più grande: questo è quello che mi resta.

Don Peppino Gambardella
Pomigliano D’Arco

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