Oltre

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Dovrei alzare più spesso lo sguardo in alto.

Sono stata catturata dalla bellezza di questa immagine: il contrasto di colori, la tempesta e uno squarcio di cielo azzurro, nonostante tutto. Quotidianamente tempeste si agitano sotto la superficie in apparenza tranquilla di alcuni nostri pazienti, non hanno voce, ma non per questo sono meno drammatiche. Verrebbe da scappare. Mi obbligo a stare lì.

Il tatto, il tono e il ritmo della voce, la mimica facciale (pur limitata dalla FFP2) voglio siano congruenti con il mio starvi accanto. Questo cielo azzurro lo devo trovare dentro di me, ogni giorno, se voglio comunicarvelo. La vostra prospettiva rimane la stessa, obbligati e dipendenti in tutto, con il monitor spento, perché gli occhi sono affaticati e non possono rispondere alla velocità della mia comunicazione. Mi insegnate un ritmo lento, che contrasta con la mia alacrità.

Voglio venire da voi ogni giorno con un pezzettino di cielo azzurro che dica speranza (1). Non è più il tempo delle grandi speranze, ma di quelle piccole, quotidiane: una notte riposata meglio, un maggior controllo di un sintomo invalidante, essere messo in bascula, uscire dalla stanza. Piccolissime prospettive ma che possono fare la differenza. (2) Spesso noi operatori ci scambiamo sguardi, veloci impressioni, sosteniamo momenti di silenzio perché ci troviamo a confronto con una cima molto alta da scalare, quella dove siete voi, irraggiungibili; tuttavia vorrei sapeste che ci proviamo, ogni giorno.

«Se davvero si vuole aiutare qualcuno, bisogna prima scoprire dove si trova. Questo è il segreto dell’assistenza. Se non si può scoprirlo, è solo un’illusione credere di poter aiutare un altro essere umano. Aiutare qualcuno significa comprenderlo più di quanto lui possa fare, ma prima di tutto bisogna comprendere ciò che egli comprende”». (3)

Paola Garzi

1 Elisabeth Kübler-Ross, «Infatti anche i malati più vicini alla morte, consapevoli della prognosi, realistici e collaboranti hanno in realtà bisogno di speranza, speranza che si esprime comunque nella possibilità che nel frattempo venga approntata qualche nuova terapia, che si potrà provare su di lui, o che comunque si possa verificare ancora una fase di remissione clinica che permetta di vivere più a lungo». La morte e il morire, Cittadella Editrice, Assisi 1976, pp. 162-164.
2 «stimolare tutte queste “piccole” e “penultime” speranze può anche nutrire la “grande speranza” di vivere un futuro che mai ha fine, una speranza che si annuncia e si abbozza concretamente nelle piccole speranze».
3 Gian Domenico Borasio, Raymond Voltz, Robert G. Miller,: Le cure palliative nella Sclerosi laterale amiotrofica, «La Rivista Italiana di Cure Palliative» n° 2 estate 2005 p. 27. www.sicp.it citazione del filosofo esistenzialista Kierkegaard, p. 29.

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