Maria Orsola Bussone: “Quanto è bello amare Dio”

Maria Orsola Bussone è il frutto maturo di una comunità parrocchiale: una ragazza come tante altre, che incontra Dio e si butta a testimoniare la bellezza di amarlo, pienamente impegnata insieme alla sua comunità, aperta al mondo. All’età di 16 anni viene chiamata in modo improvviso da Dio all’altra vita. Si è iniziato nel 1996 il processo di beatificazione e nel 2015 è stata dichiarata venerabile.

«Sarei disposta a dare la vita perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio». Questa la frase detta un giorno da una sedicenne al suo parroco, parole che san Giovanni Paolo II ha ripreso nel 1988, parlando a Torino a sessantamila giovani, indicandola come modello per fare della propria vita un dono.

Questa ragazza è Maria Orsola Bussone, nata il 2 ottobre 1954 a Vallo Torinese in una famiglia unita e serena: il papà Umberto, artigiano nell’officina in proprio, la mamma Luigina, sarta, e il fratello Giorgio, di tre anni più giovane, con cui condividerà per tutta la vita un profondo rapporto spirituale.

Tappe decisive

Maria Orsola Bussone

L’esperienza in famiglia sarà per Maria Orsola la prima palestra di vita cristiana, ma durante il periodo delle scuole medie due eventi particolari segneranno il suo cammino spirituale.

Il primo è il ritiro predicato, nell’aprile 1966, dal suo parroco, su “La gloria di Dio”. Questo messaggio la affascina profondamente, tanto che diventa per lei un motto costante e motivo della sua vita: «Tutto per dare gloria a Dio», anche nelle cose più piccole.

Appunta sul suo diario: «Domenica mattina ero tutta indaffarata per prepararmi ad andare all’incontro; a un certo punto però mi sono accorta che non stavo facendo le cose per Dio, ho cercato allora di fare le cose bene, affinché anche il vestirmi e il prepararmi servisse a dare gloria a Dio» (12.10.1969).

L’altro momento – sempre su invito del parroco – è il primo Congresso del Movimento parrocchiale del Movimento dei Focolari nel giugno 1967 a Rocca di Papa (Roma). Maria Orsola vi partecipa insieme alla sua famiglia e ad altre 44 persone di Vallo Torinese.

L’impatto con la spiritualità dei Focolari suscita in parrocchia un cammino di rinnovamento personale e comunitario che concorre efficacemente ad attuare le novità del Concilio Vaticano II e gli indirizzi pastorali dei vescovi.

La parrocchia si apre a un più concreto e intenso impegno di apostolato nei contatti con altre comunità parrocchiali, con gruppi giovanili, incontri con sacerdoti, seminari, comunità religiose e diocesane.

Costruita dalla comunione

«Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada» (1). Questa intuizione del teologo Karl Rahner spicca evidente nel cammino che Maria Orsola ha intrapreso a contatto con gli amici della sua parrocchia e un gruppo di coetanei.

Insieme alla sua famiglia e alla sua comunità, è come un terreno fertile nel far proprio il carisma dell’unità da cui trae aiuto per dare un’anima alle attività della parrocchia, nella ricerca costante, gioiosa ed entusiasta di costruire la Chiesa comunione.

Non si spiegherebbe Maria Orsola senza l’inserimento attivo ed evangelico nella sua comunità parrocchiale e il coinvolgimento in più ampie esperienze ecclesiali, anche a livello internazionale. L’aver incontrato all’età di tredici anni un carisma nuovo nella Chiesa, una spiritualità comunitaria, collettiva, le ha permesso di entrare nel cuore del Vangelo più profondamente e di esserne rinnovata.

Intervistata sulla comunità parrocchiale afferma: «A noi giovani serve, e molto, perché sentiamo l’esigenza di avere una famiglia in cui tutti si vogliono bene e capiscano i nostri problemi. Non parlo della famiglia naturale, chiaro: parlo di una famiglia spirituale dove le nostre difficoltà trovino risposta, aiutandoci a vicenda a vivere la Parola di Vita e ad amare Gesù crocifisso e abbandonato».

Testimoniare e portare Dio

È in questa realtà di parrocchia che nascono diversi gruppi con lo scopo di aiutarsi a vivere il Vangelo e per crescere in quell’amore reciproco che fa sperimentare la presenza di Gesù tra due o più uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20). Per fare esperienza di quest’unità, è necessario un buon allenamento.

«Ho voluto buttarmi – scrive Maria Orsola sul suo diario – e lasciar perdere completamente i giudizi e le cose del passato riguardanti noi ragazze, cioè ho detto: devo vederle nuove, quindi non le ho mai conosciute e di conseguenza non conosco i loro difetti o le loro virtù, so solamente che sono persone che vogliono amare Dio» (12.10.1969).

Nell’aprile del 1968, a Rocca di Papa, Maria Orsola partecipa al 1° Congresso europeo del Movimento Gen. Il messaggio di Chiara Lubich la tocca profondamente. Sente il bisogno di ringraziarla e di consegnarle il suo programma di vita: «Ho capito che la chiave della gioia è la croce, è Gesù Abbandonato. Sai Chiara, voglio amare, amare, amare sempre, per prima, senza aspettarmi nulla, voglio lasciarmi adoperare da Dio come vuole lui e voglio fare tutta la mia parte, perché quella è l’unica cosa che vale nella vita e perché tutti i giovani conoscano che cos’è la vera felicità e amino Dio».

Scoprire l’amore di Gesù fino a sperimentare l’abbandono del Padre le dona uno sguardo universale che spalanca il suo cuore al desiderio costante di testimoniarlo e di portarlo agli altri, specialmente ai giovani.

Per lei la missione del cristiano è «dare Dio agli altri» e lo fa diventare suo programma di vita da realizzare con l’esempio, con la parola, con lo scambio epistolare e attraverso le varie attività parrocchiali.

Un campo particolare d’impegno è il complesso musicale, di cui Maria Orsola fa parte come voce solista. Scrive all’amica Maria: «Noi con il complesso continuiamo a gironzolare e ad andare in diversi posti per portare, per donare agli altri quel Dio Amore che abbiamo scoperto e cerchiamo di vivere» (10.4.1969).

E ancora: «Quando abbiamo cantato “Resta con noi” e precisamente: “Ti porteremo ai nostri fratelli lungo le strade”, ho capito che niente doveva più fermarmi, neanche il rispetto umano, quindi anche portarlo in classe tra i compagni e non aver paura di essere giudicata, perché se noi doniamo loro Dio puro, così com’è, non contraffatto, un giorno ci ringrazieranno di aver fatto conoscere loro questo “TUTTO”» (Diario, 10.12.1969).

In mezzo alla normalità

Maria Orsola è una ragazza come tutte le altre, ama la musica, lo sport, il mare, la montagna, gli amici, si innamora, ha i suoi momenti tristi, si arrabbia, cade, ma la familiarità con Dio la aiuta sempre a non arrendersi agli sbagli e a rialzarsi ricominciando con nuovo slancio.

Ne scrive all’amica Enrica: «Certamente è difficile ricominciare, però basta avere un po’ di fede in Dio Amore, cioè nell’amore che Dio nutre continuamente per noi. Perché anche se noi sbagliamo, anche se non amiamo Dio per giorni e giorni, anche se siamo dei vigliacchi, delle meschine creature, Dio ci ama in modo straordinario» (5.4.1970).

«Ma posso ricominciare», è quanto disse nel tardo pomeriggio del 10 luglio 1970 all’in contro sulla Parola di Vita con gli altri giovani e ragazzi presenti al campo-scuola della parrocchia a Treporti (Venezia). Si era accorta, infatti, di non aver amato troppo.

Poche ore dopo, la fulmina la scarica elettrica di un phon difettoso mentre si asciuga i capelli per poi partecipare alla messa. Ha 16 anni.

Nel maggio 1996 prende il via la fase diocesana della causa di beatificazione. In quell’occasione l’arcivescovo di Torino, il card. Saldarini, esalta la modernità, la normalità, la fedeltà e l’esemplarità gioiosa di questa giovane, affermando tra l’altro:

«Maria Orsola, se verrà proclamata beata, sarà uno degli esempi preclari, e credo importanti, specialmente per il nostro tempo, di santità parrocchiale». 19 anni dopo, il 18 marzo 2015, viene dichiarata venerabile da papa Francesco.

Santificarsi in una parrocchia

Maria Orsola testimonia che è possibile santificarsi nella realtà di una parrocchia animata da una forte spiritualità, eredità raccolta non solo dai suoi coetanei di allora, ma che ancor oggi continua nei volti e nei cuori di tanti, mettendo insieme trasversalmente generazioni di adulti e giovani con gli stessi ideali.

«Seguire l’esempio di Maria Orsola è facile e impegnativo allo stesso tempo. Il programma lei l’aveva scritto su quel foglietto trovato accanto al suo lettino in campeggio, in quell’ultima estate quaggiù. Tre punti, tre passi verso l’Alto, altrettanti scalini verso il Cielo: Vedere Gesù negli altri, dare Dio agli altri, fare la volontà di Dio. Non è un testamento. È un programma di viaggio per raggiungere il Paradiso. La santità passa anche da qui. Anche per una ragazzina di sedici anni, innamorata della vita» (2)

Claudio Malfati

1 K. Rahner, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi – B. Secondin, Queriniana, Brescia 1983, pp. 440-441.
2 Gianni Bianco, Evviva la vita, San Paolo, Torino 2006, p. 193.

Articolo tratto dalla rivista Ekklesia n.22 – 2024/1




Fraternità in economia: una via per la pace

Sabato 28 gennaio 2023,  Sermig , Arsenale della pace, Torino

Fraternità, potenziale chiave delle iniziative economiche per ottenere rapporti di pace, questo il tema del convegno svoltosi al Sermig, sabato 28 gennaio, organizzato dall’Aipec, in occasione del decennale della sua fondazione. L’Aipec  è l’ “Associazione imprenditori per un’economia di comunione”, che raggruppa gli imprenditori (e le aziende e i loro collaboratori) che aderiscono ad uno degli ultimi progetti lanciati da Chiara Lubich (fondatrice del Movimento dei Focolari) nel 1991, in Brasile, cioè  l’ “Economia di comunione”, che è un invito a ripensare totalmente i rapporti economici finanziari ed industriali, al fine di contribuire a diminuire la povertà e di rendere il pianeta più sostenibile.

Il percorso dell’Aipec è proposto a normali aziende, attive nei  mercati, ma invitate ad organizzarsi con criteri nuovi;  imprese nelle quali  i  soci non sono solo soci di capitale, ma anche soci operativi;  che vengono condotte da imprenditori competenti e attenti a produrre in maniera legale ed ecologica; che cercano di avere maestranze consapevoli e coinvolte nel progetto, e i cui utili hanno una particolare destinazione (oltre alle normali necessità di capitalizzazione aziendale): in parte dedicati per gli investimenti, in parte per la formazione di giovani e in parte ai poveri, in sintesi  lavoro, formazione e solidarietà.

Dopo i saluti iniziali del cardinal Zuppi (in video), di Ernesto Olivero, della vicesindaco di Torino Michela Favaro, di Livio Bertola (presidente Aipec), di Gianfranco Cattai, presidente di  Reti in opera  (associazione che raggruppa 24 organizzazioni cattoliche che desiderano dare visibilità alla dottrina sociale della Chiesa), e con la lettura del messaggio di Margaret  Karram (attuale presidente del Movimento dei Focolari), e si è svolto il nutrito programma, dipanato in moduli che hanno affiancato gli interventi di importanti economisti con concrete esperienze aziendali, di cooperative e di varie associazioni.

Il primo gruppo di testimonianze è stato preceduto dalla relazione di Leonardo Becchetti, che ha indicato come sia necessario realizzare una nuova economia civile, partecipata e sostenibile, che vada oltre gli interessi particolari del singolo imprenditore, ma sia al servizio del bene comune; è necessario che venga fatta squadra tra imprenditori, professori, politici e funzionari pubblici al fine di utilizzare le risorse collettive per uno sviluppo generale delle società e non solo per interessi particolari.

Il secondo modulo ha visto un interessante confronto tra l’economista Stefano Zamagni e Carlin Petrini (il fondatore di Slow Food). Il sempre arguto Zamagni ha costellato la sua relazione di antichi esempi e dotte citazioni filologiche (evidentemente papa Francesco era ben consapevole delle sue qualità quando, nel 2017, lo nominò presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali). Nel suo ottimismo emiliano, il professore ha spiegato che, fin dall’inizio delle attività imprenditoriali moderne (orgogliosamente rivendicate al tempo del Rinascimento italiano), l’impresa era una pratica virtuosa al fine di accrescere il benessere: i denari possono essere quelli di Giuda, ottenuti per aver tradito Gesù, o quelli del buon Samaritano, spesi per aiutare un prossimo qualunque, incontrato per caso sulla propria strada.

Secondo Zamagni l’umanità non è destinata ad una crescita senza controllo, ma ad uno sviluppo sostenibile, che sappia ottimizzare le risorse (dal latino: s-viluppo, cioè senza viluppi, senza legacci, libero di realizzare azioni positive). Petrini, da buon piemontese consapevole, ha indicato i limiti del moderno dibattito economico ed ecologico, che non ha saputo cogliere il messaggio profetico della Laudato sì di papa Francesco, che invitava a ripensare i destini del mondo in chiave profetica, offrendo spunti per riflettere su numerosi temi: quello degli sprechi, degli scarti, del dialogo uomo-natura, della complessiva attenzione al creato, e così via.

Un ampio spazio è stato dedicato a Luigino Bruni e all’ Economia di Francesco, che ha teso a conciliare l’esperienza carismatica di Francesco d’Assisi con il magistero di papa Bergoglio. All’illustrazione teorica sono seguite interessanti esperienze di giovani imprenditori che a quell’iniziativa partecipano con entusiasmo.

Tra le molteplici proposte del convegno, anche una per la pace, che si conclude con questo appello: “Noi di Aipec crediamo che mente e cuore dell’imprenditore debbano coniugarsi nei processi dell’economia civile e di comunione perché si realizzi il più grande degli obiettivi: prenderci cura della Terra, nostra casa comune, e di ciascuno dei suoi abitanti fino all’ultimo dei dimenticati, nessuno escluso”.

Un interessante spazio è stato anche dedicato all’azienda torinese Ridix spa, fin dagli anni ’70 antesignana dell’Economia di Comunione, in quanto partecipata da persone legate alla spiritualità della Lubich, e che ora dà lavoro ad un centinaio di collaboratori. Pur nelle difficoltà delle varie traversie economiche degli scorsi decenni, l’impresa ha sempre tenuto la bussola dritta su obiettivi di fraternità, di condivisione e di solidarietà, tanto da essere oggi un’impresa leader nel suo settore.

Utopie? Marginarietà? Sogni? Tutte obiezioni possibili, ma che non reggono il confronto del continuo sviluppo, anche nelle complesse condizioni economiche attuali e dei numeri ancora modesti, delle aziende collegate all’Economia di Comunione e all’Aipec, dell’ampliarsi del pensiero legato all’Economia civile, della crescente passione di molti giovani per l’Economia di Francesco, e così via.

Chissà se, più o meno casualmente, proprio all’Arsenale della Pace, il convegno è stato pensato, in un luogo ben preciso,  a giusti duecento anni da quello che fu l’inizio del Distretto sociale Barolo, un fertile territorio che ha visto crescere le iniziative dei marchesi di Barolo, dell’opera del Cottolengo e quelle di Giovanni Bosco, in un arco territoriale limitato (Valdocco): un auspicio di continuità anche per l’Aipec e per l’Economia di Comunione, pensata dalla cittadina onoraria di Torino, Chiara Lubich .

Stefano Passaggio

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Spazio ai carismi…

Insieme ai laici, protagonisti dellazione ecclesiale

Paolo Comba è parroco di tre parrocchie alla periferia di Torino. Aiutato nelle domeniche da alcuni religiosi salesiani, segue 20 mila fedeli, eppure non è sopraffatto dal lavoro. Il suo segreto: la fiducia posta nei laici e la valorizzazione dei loro doni. Alla radice di ciò, una visione “mistica” – se così si può dire – del ministero, del laicato, della pastorale.

Tessere di un mosaico: ognuna è preziosa

Come un mosaico le cui tessere sono importanti, ciascuna con il proprio colore e la propria forma, a far sì che l’opera riveli tutto il suo splendore. È questa l’immagine che ho della vita di una parrocchia: luogo dove diversità e complementarità si intrecciano e dove tutti sono chiamati a edificare la Chiesa. Questa immagine trova ancora maggiore conferma quando, per le circostanze diverse e le necessità del presente, il parroco è chiamato a guidare tre parrocchie, tre comunità, ognuna con le proprie caratteristiche, la propria storia, le proprie esigenze. E tutto questo evitando di diventare un funzionario o semplicemente un amministratore!

Come fare? Il primo focus necessario è che non si tratta di mera organizzazione, ma di far risplendere quelle tessere che devono comporre il mosaico: ogni tessera è preziosa: mancandone una, l’opera perderebbe la propria lucentezza e preziosità.

Da dove partire? Da uno sguardo su quella porzione particolare di Chiesa, Corpo composto di diverse membra, ognuna con la propria originalità. Ho più volte osservato le mie comunità, ho incontrato e ascoltato storie, conosciuto percorsi, ricollocando il tutto in una prospettiva ecclesiale, con un respiro quindi più ampio, con una missione alta, una forza potente che viene da Dio.

Come padre e pastore di questa porzione di popolo mi sono sempre più convinto che anche quella parrocchia più piccola, quel gruppo più scarno, è il frammento in cui c’è il tutto. Perché l’origine è dall’Alto: un pezzo di cielo si riflette anche nella pozza più piccola, come nel lago più grande.

Al servizio della vocazione dei battezzati

Questa visione, maturata nel tempo, mi ha portato a fare delle scelte pastorali che certo aiutano me nel mio ministero, ma soprattutto realizzano la vocazione specifica del laico, battezzato, nella Chiesa.

Il primo passo è stato quello di prendere maggiore consapevolezza che i laici nella Chiesa non sono “di meno”, ma sono parte integrante e necessaria della vita della Chiesa stessa. La radice di questa maggiore consapevolezza l’ho riscoperta, e la riscopro continuamente, nella celebrazione del sacramento del Battesimo. Ai genitori spiego che, con il Battesimo, ci è data una compagnia per tutta la vita, la Chiesa, e che il compito, la testimonianza, è essere a nostra volta compagnia di altri fratelli, uomini e donne.

Ho riflettuto a lungo su questo: se camminiamo come compagnia, se è lo Spirito Santo che “ci riunisce in un solo corpo”, allora la vocazione di ciascuno è proprio nella Chiesa, come ricorda in un noto testo santa Teresa di Lisieux.

Questo primo passo mi ha portato al secondo passo: cosa è realmente il mio ministero di pastore? La domanda sembra scontata, la risposta altrettanto e potrebbe esaurirsi in un elenco di cose che bisognerebbe fare ma che non si ha tempo di fare e in cose che si fanno e… che non si dovrebbero fare.

La consegna di Gesù nel Cenacolo – l’istituzione dell’Eucarestia e la lavanda dei piedi – mi rimandano alla radice del mio essere presbitero. È il rendere Gesù presente tra la mia gente, il motivo del nostro ritrovarci intorno alla Mensa, uniti in un solo Corpo perché partecipiamo della comunione a lui.

E non c’è altro atteggiamento che quello del servire fedelmente Dio per servire fedelmente gli uomini. Una mistica del ministero presbiterale non significa una astrazione, ma dare la giusta misura, alta, del mio essere pastore e padre della comunità.

Scoprire nei laici vocazioni e carismi 

In una visione del ministero in questi termini, è importante comprendere la teologia e la mistica del laicato. La domanda allora ritorna insistentemente: si tratta solo di dividere incombenze? Di far fare ai laici ciò che io non so o non dovrei fare? O di far eseguire ordini e disposizioni?

L’appartenenza alla Chiesa, l’essere nella Chiesa, esige una partecipazione attiva e responsabile e il partecipare attivamente della vita della Chiesa non può eludere una responsabilità poiché implica la libertà.

Persuaso profondamente di questo, ho iniziato in questi anni un cammino non semplicemente di coinvolgimento dei laici, ma di condivisione di fatiche, speranze, sogni, attese, preoccupazioni e visioni della realtà in cui viviamo.

A uno sguardo attento e accompagnato dalla preghiera, ho visto il germogliare di vocazioni e carismi diversi che, messi a frutto, sono una primavera delle comunità e una promessa di benedizione.

Purificare la visione dei Movimenti 

C’è una ricchezza grande nelle nostre parrocchie e territori ed è costituita dalla presenza dei Movimenti ecclesiali. Abbiamo bisogno di purificare una visione di questi come sette o gruppi autoreferenziali. È vero, il rischio lo corrono tanti Gruppi e Movimenti nella misura in cui sono esclusi dalla vita delle comunità locali e dimenticano il rapporto con Cristo! Il carisma è dato per aiutare a vivere il rapporto con Cristo, diversamente diventa autoreferenziale e divisivo! Fin dagli anni di seminario ho avuto la grazia di avere un rettore saggio, uomo di comunione, che ci faceva conoscere i Movimenti e le loro peculiarità. In parrocchia, nella pastorale, ho scoperto come la ricchezza di questo florilegio di doni dello Spirito Santo è di grande aiuto per l’annuncio del Vangelo. Nelle mie parrocchie ci sono famiglie appartenenti al Movimento dei Focolarini: allora, mi sono detto, perché non chiedere loro di accompagnare le famiglie dei ragazzi che frequentano il catechismo, soprattutto le situazioni particolari (figli non battezzati, ragazzi iscritti con ritardo …)? Conosco alcune persone di Comunione e Liberazione, allora ho chiesto loro di aiutarmi nel promuovere la cultura cristiana: ne è nata una collaborazione con il Centro culturale della Città. La famiglia di Emanuela e Sara è una famiglia che vive l’esperienza del Rinnovamento nello Spirito. A loro ho chiesto di aiutarmi ad animare i momenti di preghiera e catechesi comunitari…

Cammino e confronto, responsabilità condivisa e verifica

E poi la scelta di dare responsabilità ai laici: dall’amministrazione delle parrocchie alla guida dei diversi settori (catechesi – caritas – giovani – anziani…); lo stile è quello del cammino e del confronto (sinodalità), della responsabilità condivisa con me, della verifica periodica e della correzione.

Ai miei collaboratori – etimologicamente coloro che con me partecipano del lavoro di edificazione del Corpo di Cristo – chiedo tre atteggiamenti fondamentali: la libertà per servire Dio nei fratelli e nelle sorelle, perciò non guardiamo il risultato, ma il motivo per cui facciamo qualcosa; la consapevolezza di partecipare dell’opera di Dio, perciò è necessario liberarsi di preconcetti e pregiudizi, ma bisogna lavorare sapendo che si lavora per un’opera più grande e quindi lasciarsi “sorprendere” dal mistero; la fede di fronte al mistero di Dio, perciò non può esserci azione o iniziativa senza la preghiera, senza un Tu a cui domandare il tutto. Per loro chiedo al Signore il dono di una gioia interiore: lieti non solo per quello che fanno, ma soprattutto e prima di tutto per quello che essi sono, figli amati.

Chiesa poliedrica e freschezza del Vangelo

I tasselli del mosaico hanno ciascuno il proprio posto, come i carismi e i doni dello Spirito Santo, diversi tra loro e complementari, per l’edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa e per far risplendere, al contempo, quella poliedricità della Chiesa che la rende la sposa bella per lo Sposo.

Le mie tre comunità parrocchiali, così diverse tra loro e vivaci, microcosmo nella Chiesa universale, sono per me la palestra della sinodalità: un cammino insieme, ascoltandoci e riconoscendo i segni dei tempi che, se visti nella luce del Sole che sorge dall’alto, non sono tempi nefasti, ma tempi di grazia in cui sperimentiamo la sempre attuale freschezza del Vangelo e viviamo la verifica della fede.

Solo così può continuare o riprendere sempre la corsa di Giovanni e Pietro dal sepolcro ai fratelli, per un annuncio di gioia.

Paolo Comba

Tratto dalla rivista Ekklesia 2022/4

 




Luce e lievito per trasfigurare la vita

Il Sinodo delle Chiese diocesane di Cuneo e di Fossano.

L’esperienza di un Sinodo diocesano nel Nord Italia che ha affrontato le sfide legate alla pandemia e al cambiamento d’epoca, portato avanti il processo d’unificazione di diocesi unite finora solo nella persona del vescovo e riorientato la pastorale perché sia testimonianza incisiva del Vangelo nelle circostanze odierne.

Un duplice sguardo

Due sono gli “sguardi” che hanno portato ad ideare ed orientare il cammino sinodale unitario delle Chiese diocesane di Cuneo e di Fossano, iniziato il 28 maggio 2021 nella Cattedrale di Cuneo e concluso il 24 giugno 2022 nella Cattedrale di Fossano con la consegna del Libro sinodale.

Uno sguardo più generale derivante dalla situazione di cambiamento epocale che si sta vivendo a livello di Chiesa e di umanità, accentuata dall’emergenza prodotta dalla pandemia. «Vediamo attorno a noi – è scritto nell’introduzione del Libro sinodale – frammentazione, multietnicità, crescente isolamento, apatia religiosa, relazioni precarie, grande mobilità, stordimento per dati ed informazioni, fragilità psicologiche crescenti, paura del futuro, progettazioni limitate … in una parola, grande fragilità». Al tempo stesso la globalizzazione presenta aspetti che sono da interpretare con un senso aperto a nuove speranze quali sono le «esigenze di rapporti segnati da una nuova fraternità a tutti i livelli, sentita come premessa indispensabile per una pace planetaria».

Il secondo sguardo più concreto è l’avvio più deciso del processo di unificazione delle due diocesi, che dal 1999 camminano sotto la guida del medesimo vescovo, ma hanno mantenuto finora strutture distinte. Negli ultimi anni l’idea di diventare un’unica realtà ecclesiale ha avuto reazioni differenti, non sempre concordanti. Si può dire che il primo segno distintivo del Sinodo sia l’aspetto unitario del cammino compiuto, sia nella sua ideazione che, poi, nelle sue conclusioni.

Far emergere questioni basilari

La proposta del Sinodo era maturata all’i- nizio del 2020, con l’idea di non farne un cammino onnicomprensivo come i precedenti Sinodi diocesani, ma di far emergere alcune questioni basilari. La dilatazione della pandemia, a marzo del 2020, pone in crisi tale proposta: è opportuno affrontare un processo di questo tipo, quando le persone, le famiglie e le comunità sembrano sommerse da problemi di tutt’altro tipo? Si è voluto affrontare la sfida dell’“ascolto” proprio nel contesto del ripensamento della fede e della realtà ecclesiale provocato dal periodo tormentato che stiamo vivendo.

Di qui sono scaturite quattro schede di consultazione e di confronto: I cambiamenti, La fede, La parrocchia, I preti, a cui se n’è aggiunta una quinta in fase di Assemblee sinodali: Il ruolo dei laici. Nel frattempo le varie comunità parrocchiali, le Associazioni e i Movimenti sono stati coinvolti per la scelta dei delegati alle Assemblee diocesane: 120 persone, sacerdoti, religiosi e laici hanno dato voce alle varie realtà delle due diocesi, che complessivamente assommano a circa 150 mila abitanti.

Un cammino inclusivo

Il cammino è stato il più inclusivo possibile, procedendo come a cerchi concentrici: dalla Segreteria, che ha formulato le domande-guida delle schede, alle comunità; dalle comunità alla Segreteria per la sintesi dei contributi da presentare ai delegati nelle Assemblee. Dieci sono state le sessioni sinodali, per la metà in collegamento Zoom, per la metà in presenza. Ogni Assemblea ha proceduto a riformulare, in un confronto aperto e vivace, ma mai eccessivamente dialettico, le proposizioni scaturite dalla consultazione.

Non possiamo affermare che la partecipazione e la condivisione della “base” sia stata corale, proprio per i disagi provocati dall’emergenza pandemica, ma sono state offerte proposte e suggestioni rimarchevoli di attenzione. Ne è emersa tutta la fatica del momento, ma pure la speranza della “forza” di un messaggio, quello evangelico, capace di ridare senso alle scelte da operare a livello personale e comunitario. «Siamo chiamati ad offrire una testimonianza nuova e gioiosa del Vangelo – è scritto nella prima delle proposizioni –. Esso ha la capacità di sostenere e illuminare le coscienze delle persone nella ricerca della verità e della giustizia, di essere luce e lievito per trasfigurare la vita, anche nel contesto della società e della cultura contemporanea, diversa da quella del passato»

Conversione della mente e del modo di organizzarci

È proprio questa convinzione rinnovata che offre il coraggio di affrontare cambiamenti e riforme anche importanti: «Vogliamo promuovere il percorso di riforma della Chiesa locale».

In effetti, il frutto più evidente che ne è scaturito è la rinnovata decisione di procedere verso l’unificazione attesa da anni: in attesa dell’unificazione giuridica, di spettanza della Sede apostolica, si è fatto un passo decisivo nell’unificazione pastorale. Ora le due diocesi non avranno più soltanto l’unico vescovo, ma una curia unificata negli uffici pastorali e giuridici, un unico vicario generale e un unico vicario per la pastorale.

La «conversione della mente e del modo di organizzarci» che interessa gli organismi diocesani investe così anche gli altri ambiti.

Le sei Costituzioni, che rappresentano la parte centrale del Libro sinodale, danno concretezza agli orientamenti emersi nelle proposizioni formulate nel corso delle Assemblee diocesane.

Oltre gli organismi diocesani, le Costituzioni propongono linee vitali per la formazione, le parrocchie e unità pastorali, la presenza e testimonianza dei laici, la presenza e testimonianza dei sacerdoti e dei diaconi, i passi prioritari da compiere.

Il tutto è affidato ora non soltanto ai decreti attuativi, ma all’attenzione e corresponsabilità dei consigli diocesani e parrocchiali, alla nuova presa di coscienza di tutti i battezzati, laici, consacrati, ministri ordinati, che come christifideles inseriti nel Popolo di Dio riscoprono il loro compito di “messaggeri” dell’unico messaggio capace di ridonare vita all’umanità ferita: «Aiutiamoci ad essere Chiesa che ascolta, che dialoga con tutti, che non si chiude nelle proprie strutture, che non ha paura della propria identità e non si nasconde, che ama la vita e trasmette speranza per il futuro, che si caratterizza per l’accoglienza senza pregiudizi» (dagli Orientamenti).

Tonino Gandolfo

Tratto dalla rivista Ekklesia 2022/4

 




Fare della propria vita un dono. Maria Orsola 1970-2020

DIRETTA STREAMING 

https://youtu.be/o0-QEqfJ88U

PARTECIPAZIONE DEL Gen Rosso e Gen Verde 

La comunità di Vallo Torinese in occasione del 50° anniversario della partenza per il cielo di Maria Orsola Bussone, domenica 12 luglio ha condiviso con una diretta streaming YouTube la scoperta che hanno fatto con Maria Orsola: “Fare della propria vita un dono”.

 




Silvano, grazie di queste parole che hai lasciato su Maria!

Il nostro amico Silvano Gianti ci ha lasciato all’improvviso il 14 aprile. Abbiamo ritrovato un suo intervento di alcuni anni fa in cui parlava di Maria, riportiamo qui alcuni dei passaggi principali che evidenziano in particolare lo speciale rapporto che Silvano aveva con Lei.

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Ho accettato volentieri di raccontare qualcosa della Madre di Dio. Naturalmente non da mariologo, non da teologo o da esperto di cose di Dio, ma vorrei raccontare qualcosa di Maria partendo da quello che è stato ed è attualmente il mio rapporto con Lei. I miei genitori erano credenti e ricordo fin da piccolo, la sera dopo cena – estate e inverno si recitava il rosario.

Sono cresciuto così. Ricordo poi quando ormai adulto, magari in giro lontano da casa, telefonando a mia madre dopo avermi interrogato su come stavo, cosa facevo, come stava andando, chiudeva ogni volta dicendomi: ricordati di dire almeno qualche avemaria.

Così pian piano Maria è diventata mia sorella, sono figlio unico, avere una sorella ci si sente in buona compagnia. Successivamente Maria mi è diventata madre, è stato quando mia mamma stava morendo io le tenevo la mano così come per accompagnarla di là. Poi quando il respiro è cessato mi è venuto spontaneo, affidare la mia vita a Maria, chiedendole che mi prendesse come figlio suo. Insegnandomi a vivere come era vissuta Lei.

Penso che venerare Maria significa sempre imitare Maria, e ciò com­porta imitare anche la responsabilità di cui lei si è fatta carico. Quando Maria a Cana dice a Gesù: «Non hanno più vino» fGv 2, 3), dimostrando una squisita sensibilità per le necessità umane, el­la dimostra che il criterio per l’autenticità della pietà umana è la disponibilità ad imitarla proprio in questa attenzione ai bisogni del nostro prossimo.

L’amore a Maria non solo non allontana mai l’uo­mo dall’uomo, ma ci avvicina gli uni agli altri. Venerare ci deve impegnare a dire, come Lei e con lei, il nostro “eccomi”, il proprio “sì” al pia­no e alla via che Dio ha preparato per la vita di ciascuno di noi.

Mi piace immaginare Maria profondamente mischiata nella sua storia, tra la sua gente. Con Giuseppe e Gesù nella gestione della famiglia e della casa, oppure basta pensare come detto poc’anzi alle nozze di Cana, tanto per citare un piccolo particolare che ci riporta a Maria donna di casa. Quando manca il vino è lei che s’interessa. Anzi distinguerei è lei che s’accorge. Bello questo accorgersi. Significa che era attenta a quanto stava accadendo. Che viveva pienamente l’avvenimento. Già solo questo accorgersi che manca il vino apre al nostro tema una infinità di richiami per ciascuno di noi.

Ricordate questo brano delle nozze di Cana: s’accorge che manca il vino, si rivolge a suo figlio, non soddisfatta però, va dai servi e indicando nuovamente Gesù dice “fate quello che vi dirà”

E’ formidabile questa donna, sembra abbia in mano la cerimonia – d’altra parte s’è accorta Lei per prima che manca il vino, ma si ritira subito, quasi scomparendo per mettere il risalto Gesù.  E’ una frase che dice tutta la grandezza di Maria. Tutta la sua vita infatti è stata un fare quello che Gesù ha detto e notate: nient’altro. Maria dunque vediamo che in tutta la sua vita non ha fatto altro che mettere in risalto Cristo.

Maria è attenta: E noi? Quanto lo siamo con le persone che ci vivono accanto? Ci siamo accorti che – continuamente manca il vino – si perché ci sono una infinità di disagi, e quasi sempre li evitiamo regolarmente e cerchiamo di demandare ad altri la soluzione oppure ci sforziamo di trovare delle soluzioni ai mille bisogni che la nostra società oggi ci domanda attraverso le persone che percorrono questo tratto di vita. 

E penso ai poveri che incontriamo tutti i giorni sulle nostre strade, ma anche ad ogni persona che incontriamo povero o ricco, ognuno ha bisogno dell’altro.

Si perché c’è bisogno di silenzio, di ascolto, di attenzione, di capacità di vedere gli autentici desideri delle per­sone senza umiliare nessuno, c’è bisogno anche di sapersi ti­rare indietro. C’è bisogno di affetto, di vicinanza, di ritrovare la fiducia ne­gli altri, di credere, con fati­ca, ma di credere anche quan­do tutto sembra remare con­tro. C’è bisogno di accostar­si in punta di piedi alle ferite profonde degli uomini e delle donne del nostro tempo: sen­za soluzioni altisonanti in ta­sca, ma con la disponibilità a restare.

Restare lì dove l’uomo muore, presidiare la posizio­ne perché anche solo un bri­ciolo di dignità si salvi.Perché qualcuno continui a volgere lo sguardo verso l’orizzonte, in attesa speranzosa dell’alba. C’è bisogno di gesti semplici e parole belle che sciolgano gli odi. C’è bisogno di «portare» la vita  e di  «dare» la vita. C’è bisogno, lasciatemelo di­re, di Maria. Maria, mamma di Gesù e mamma nostra.

Maria dunque è la donna dei nostri giorni, pienamente intrisa nella nostra vita, modello di santità. Il suo ideale è sempre stato Dio, avrà avuto sicuramente mille dubbi – con un figlio del genere – eppure è andata dritta per la sua strada, dimostrando una fiducia senza confini nel Dio dell’Antico Testamento.

A questo Dio si è abbandonata e ripeto ancora senza tanto pietismo, ma amandolo concretamente nel prossimo. Maria sotto la croce dove sta con suo figlio ci dà una nuova comprensione del dolore polarizzando la nostra attenzione sul Cristo morente vuole aiutarci tutti a trovare la forza per superare ogni difficoltà.

Così qualsiasi sofferenza vissuta bene ci porterà non alla disperazione ma ad un amore maggiore verso Dio. Maria donna della globalizzazione, della fraternità universale. Non è forse lei che vuole famiglie unite, generazioni unite, popoli uniti. Vuole – mi pare –  che tutti gli uomini anche quelli senza un preciso riferimento religioso, ma che cercano il bene dell’umanità compongano un’unica famiglia?

Capite che questa Madre di Gesù è tutt’altro che una bella statua, una immaginetta da tenere nel libretto delle preghiere, Maria è il tipo della donna e anche dell’uomo del nostro tempo! 

Edith Stein, come anche poi Simone Weil (è laica anche lei), dicono che quest’aspetto femminile è necessario a tutti averlo, anche l’uomo, per poter essere persone complete, persone compiute. Quale dunque il messaggio che ci lascia Maria?

L’abbiamo visto fin qui: Maria  nella sua vita ha amato. Il suo è un amore che non condanna. Ma che comprende. Maria è una donna che ha fatto della parola di Dio il programma della sua vita. Mi piace qui riportare quanto scrive una mistica del nostro tempo riguardo a Maria:

“Lei ha capito suo figlio, perché Gesù più che chiedere di combattere le te­nebre, domanda a noi di splendere in mezzo ad esse (Gv 1,5), di es­sere “luce del mondo” (Mt 5,14), e la luce non combatte, ma splende. La luce che è “splendore della vi­ta” si afferma da sola”.

E Gesù ci dice una cosa sola: “amatevi come io vi ho amato” l’insegnamento di Gesù è tutto qui.  

E per concludere permettetemi un inciso: si parla ormai da anni di notte di Dio in Europa soprattutto. Ma questo buio, non potrebbe essere l’ombra di Dio che ritorna nella nostra storia, perché attirato dalle tante persone che vivono il “fate quello che vi dirà?”.

Silvano Gianti

vedi anche articolo su Città Nuova




Gen Verde: “Come una ventata che risveglia le braci”

Ultime tappe di Gen Verde Acoustic in Italia, a Busca (CN)– con anche un workshop-lampo con giovani in gambissima – vicino al paese della nostra violinista Annalisa, e Saronno (VA); un passaggio veloce ma intensissimo.

Le note comuni? Una grande partecipazione del pubblico, espressa a tratti con silenzi e ascolti densissimi, a tratti con una vera esplosione di gioia, sempre con una vibrazione sorprendente o con applausi interminabili che dicevano adesione al messaggio ascoltato ma anche cantato e ballato da tutti. Era difficile dover dire: “questa è l’ultima canzone…”.

Stando a chi era presente, i concerti hanno portato una valanga di emozioni capaci di toccare l’anima; e si sono colte bellezza, intensità, gioia e speranza, limpidezza, tenerezza, testimonianza di fraternità e pace. Qualcuno ha apprezzato “il linguaggio musicale per tutti, ma chiaro e controcorrente”; qualcun altro ha avuto l’impressione che il concerto fosse “come una ventata che riaccende le braci presenti nel cuore della gente”.

E a noi resta nel cuore un grazie immenso per tutti.

Gen Verde




Ridix: storia di un’azienda “vincente”

Lo scorso 12 ottobre 2019 si sono festeggiati i 50 anni della RIDIX un’azienda con sede a Grugliasco (TO) fondata da Klemens Fritschi nel lontano 1969.

Presenti i collaboratori ed ex collaboratori della RIDIX con i loro famigliari nonchè tanti fornitori provenienti dall’Europa e dalla Cina: circa 180 persone.

Per l’occasione Klemens stesso racconta la storia dell’azienda che si è strettamente intrecciata con la sua storia personale che qui riportiamo:

“Gentili collaboratori interni ed esterni della Ridix, gentili partner,
Vi ringrazio di cuore per aver accolto l’invito per la partecipazione a questa festa dei 50 anni. Già i risultati ottenuti nei primi 25 anni di attività della Ridix sono stati eccellenti ed ora, malgrado il perdurare di una profonda crisi non solo in economia, ma più generalmente nel modo del vivere e del lavorare, la Ridix ancora è cresciuta sia come volume di vendita di prodotti di altissima qualità che nell’intento di armonizzare il clima di collaborazione fra tutti. Ma qual è il segreto del successo della Ridix? Per caso ho visto recentemente sull’importante rivista “Focus” un articolo intitolato: “Il Futuro? E’ nelle nostre mani?” Oscar di Montigny, un importante manager, sposa un’idea controcorrente: “Per salvare il pianeta non dobbiamo guardare al nostro successo e al denaro, ma privilegiare la collettività. E’ il momento di nuovi eroi. Stiamo perdendo i riferimenti religiosi e culturali. Ci troviamo in un momento di grande confusione, ma anche di grandi opportunità. Dice ancora: le aziende sono il cuore di questo cambiamento”.
Riflettendo su questi aspetti e sulla bella storia della Ridix, oso riassumerla nel racconto di una favola: 60 anni fa un giovane nato e cresciuto in Svizzera e una giovane italiana si incontrano a Londra: tra loro nasce subito un rapporto di amore intenso. Quando la ragazza rientra in patria il giovane decide di cercare un posto di lavoro in Italia senza però conoscerne la lingua: quando lo trova fa salti di gioia. La ditta però si trova a Catania e solo facendo il viaggio in treno in agosto da Londra a Rorschach in Svizzera per salutare la sua famiglia e poi dalla Svizzera a Torino per conoscere i genitori di Margherita (così si chiama quella giovane) e finalmente da Torino a Catania, il giovane si rende conto che l’Italia è assai lunga… ma nessun ostacolo può impedire di proseguire il cammino ed infatti il primo luglio dell’anno 1961 si sposano. Perseveranza, lealtà e tanta fede erano i presupposti per poter realizzare questo progetto. Dopo alcuni cambiamenti trovo finalmente lavoro in una ditta di Torino – avete già capito che sono io il protagonista di questa favola!

Nel 1969 l’azienda per cui lavoravo chiude per l’età avanzata del titolare. Decido con alcuni colleghi di fondare la Ridix. Eravamo tutti molto giovani e inesperti, infatti dopo pochi mesi rimaniamo solo in due con prospettive apparentemente scarse di successo.
Intanto erano nati Andreas e Paolo e come famiglia eravamo molto felici.
Nell’anno 1974 Andreas, mentre si recava alla riunione degli scouts camminando sul marciapiede, viene travolto da una vettura. Non ci sono parole che possano far capire il grande vuoto e la tremenda disperazione mia e di Margherita.
Quando il piccolo Paolo ha chiesto: “Papà…e adesso?” io l’ho abbracciato dicendogli “D’ora in poi l’unica cosa che possiamo fare è di amarci di più fra di noi e amare tutti”.
Poco dopo abbiamo partecipato ad un convegno intitolato: “Dio è Amore”
In questa occasione io e Margherita, piangendo, abbiamo incontrato Dio Amore e da allora abbiamo cercato di amare ogni persona che incontravamo.
Abbiamo mantenuto un rapporto molto stretto con i partecipanti di quel convegno: in seguito il giovane Ugo Pettenuzzo, poi Paolo Frand Pol, poi Michele Michelotti mi hanno chiesto di far parte della Ridix. Io ero assai preoccupato temendo di non poter disporre dei mezzi sufficienti per garantire le loro paghe e stipendi. Ecco, posso affermare che fra noi la cosa più importante, anzi indispensabile, era l’amore e la piena fiducia e su questa base siamo riusciti a impostare tutta l’organizzazione dell’azienda: questo orientamento c’è tutt’ora e rimane il segreto del successo della Ridix.
Tornando all’articolo ed all’idea controcorrente di privilegiare la collettività anche in azienda – che vuol dire agire nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso sistema, che siamo tutti connessi – Oscar di Montigny sostiene che la difficoltà oggi consiste nel guardarsi dentro e capire cosa possiamo fare.
Oso dire che questo folto gruppo di impiegati, tecnici, venditori, soci, dirigenti, tutti insieme, nel corso di questi 50 anni, ha potuto sperimentare oltre al successo materiale, tanto entusiasmo e gioia.
Ma questa realtà va oltre i confini della Ridix: i clienti, i fornitori e il personale delle ditte di servizio ne sono coinvolti e anche gruppi di popoli fuori dal contesto imprenditoriale in Argentina, India, Marocco hanno potuto godere del successo, dato che da molti anni una parte degli utili viene destinata a popolazioni indigenti che ancora soffrono la fame e la più misera povertà: anche loro fanno parte dell’umanità.
Con sincera riconoscenza per il contributo di ciascuna e di ciascuno, vi saluto cordialmente”.
 

“DI OGNI DETTAGLIO FAI UN CAPOLAVORO …PERCHE’ TUTTO CIO’ CHE FACCIAMO E’ DEDICATO AGLI ALTRI”: questa frase ricordata tante volte da Klemens ha dato lo spunto per la produzione di un video aziendale molto coinvolgente:

A seguire, durante questo coinvolgente anniversario aziendale, la presentazione della STORIA di questi 50 anni della RIDIX, i VALORI, il FUTURO (vedi testi allegati):

STORIA RIDIX

VALORI

FUTURO




La lacrima e il raggio di sole. Natale in hospice

Qualche anno fa, una donna geniale lanciò una sfida ai bambini del mondo. “Vi siete accorti-diceva- che a Natale hanno sloggiato Gesù?  Sarete voi a riportare al centro del Natale il vero festeggiato!”.

Pensava, questa donna di nome Chiara, che l’anima non ha età. E per questo affidava ai bambini, ai ragazzi e ai giovani le sue idee più folli. Perché allora non costruire tante statuine di Gesù Bambino e offrirle in dono a coloro che passano indifferenti e frettolosi nelle strade delle nostre città? E chi meglio dei bambini poteva farlo?

Anche quella volta i bambini – che volevano molto bene a Chiara- non si tirarono indietro. E si misero al lavoro, con stampini di gomma e colate di gesso, costruendo statuine da confezionare in bellissime piccole culle di paglia.

Non fu sempre facile: “non compro niente” rispondeva qualcuno che non aveva capito; “spostatevi!” dicevano i più frenetici. Ma in un angolo poco conosciuto della città c’erano persone che avevano un grande desiderio di ricevere quell’amore generoso e gratuito dei bimbi.

E così, in un Natale speciale di tre anni fa avvenne il “miracolo”, che si è ripetuto ogni anno. Ormai è un appuntamento attesissimo: anche quest’anno i Gen4 –bambini del Movimento dei Focolari-  sono arrivati nell’hospice.  Una volontaria della struttura ci confidava che ormai per lei è questo il vero Natale.

A un’impresa del genere naturalmente ci si prepara: prima di salire, radunati nella piccola Chiesa, il patto di essere “come un raggio di sole che brilla da una lacrima”: la frase della Parola di Vita di dicembre è davvero bella e piace a tutti: ora possiamo partire!

Con un po’ di timore, ma accolti subito dal grande cuore dei volontari, dai colori luminosi della struttura, dalle stanzette piene di calore umano. Una stanza alla volta, prima timidamente, poi con la limpidezza di chi ha imparato che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.  La presenza dei loro assistenti-animatori e di qualche genitore li rassicura, ma sono loro i veri protagonisti.

Momenti luminosi, semplici… “Ma sono dei bambini ?!?” esclama una donna cieca, commuovendosi e ringraziandoli uno ad uno con una carezza. Anche i malati più gravi riescono a donare un sorriso. Quella statuina tenuta fra le mani come dono prezioso ricorda certamente la dolcezza di Natali lontani, di affetti mai dimenticati… C’è anche una giovane mamma, fra i ricoverati. Viene da lontano, quasi sicuramente non è cristiana: ma il suo augurio di Buon Natale è vero e profondo. È un momento particolarmente toccante, per tutti.  Gli occhi della donna brillano di una dolcezza speciale mentre i suoi piccoli di 2 e 3 anni sono circondati da quei bambini poco più grandi di loro… Brillano gli occhi di tutti, in quel tempo indefinito che parla di eternità…

Alla fine, merenda insieme, i canti di Natale e un bellissimo cartellone per ringraziare uno a uno quelle persone speciali  che resteranno per sempre nei loro cuori. E che saranno accompagnate nelle loro giornate da quella statuina e da quei sorrisi gioiosi.

“Missione compiuta, Gen4!”, chissà con che gioia Chiara li avrà guardati dal Cielo. Veri “raggi di sole”, capaci anche di asciugare una lacrima e persino di farla brillare.

Ferdinando Garetto – Torino




Concorso fotografico “La fraternità in un click”

I Giovani per un Mondo Unito di Cuneo organizzano il concorso fotografico “La fraternità in un click” per sostenere il progetto “Amicizie tra famiglie dell’Italia e del Medio Oriente”, un ponte di solidarietà che permette di aiutare alcune famiglie con difficoltà in Libano.

L’iniziativa invita i partecipanti a sviluppare il tema della fraternità lasciandosi ispirare da queste parole pronunciate da Maria Emmaus Voce, presidente del Movimento dei Focolari al Genfest svoltosi a Manila nel luglio 2018:

(…) se cambia il cuore dei presenti, allora il mondo comincia a cambiare. E il cuore cambia se si lascia penetrare dall’unico valore che tutti i giovani di ogni latitudine riconoscono come il più importante: l’amore!
Cominciate quindi ad amare concretamente. Il primo passo non è quello delle azioni grandi, ma quello dei piccoli atti d’amore che fanno grande la vita e hanno il potere di cambiare il mondo e di incidere sulla società. Senza paura di dover fare chissà cosa, ma renderci vicini alla persona che ci passa accanto. Ciò vuol dire amare la cassiera del supermercato, prenderci cura del povero che ci chiede del nostro, imparare a farci
il letto per amore del compagno di stanza, lavare i piatti per amore di chi ci mangerà dopo…

Come partecipare

La partecipazione al concorso è aperta a tutti i fotografi non professionisti e senza limiti d’età. Ogni partecipante potrà inviare tramite email un massimo di una fotografia per ogni sezione in concorso ( a colori – bianco/nero) da allegare unitamente alla scheda di iscrizione debitamente compilata.

Il costo d’iscrizione al concorso è di € 10,00 e come anticipato, parte del ricavato andrà a sostegno del progetto “Amicizie tra famiglie dell’Italia e del Medio Oriente”.

Il pagamento potrà avvenire tramite Satispay (specificare come causale “Concorso fotografico fraternità”, nome e cognome del partecipante) al numero +393488464294 o consegnati in contanti a “Mobili Viale” – Via Roma 22 Cuneo oppure ad HobbyFoto –Corso Nizza 45 – Cuneo. La stampa delle fotografie è a carico dell’organizzazione.

La consegna delle opere dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2018 all’email info@hobbyfotocerato.it e per conoscenza all’organizzazione babyii@hotmail.it specificando nell’oggetto “concorso fotografico  fraternità” e il nome e cognome del partecipante.

Maggiori informazioni, il regolamento e la scheda di iscrizione si trovano sul sito dell’Associazione Obiettivo Fraternità, che sostiene il concorso. 




Obiettivo fraternità Onlus – Torino

Obiettivo Fraternità Onlus è un’Associazione di volontariato che nasce nel 2007 a Torino, a seguito di una decennale esperienza di numerosi volontari in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con l’intento di promuovere e diffondere una cultura della solidarietà nel mondo giovanile, nella famiglia e nella società.

Si ispira alla spiritualità del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich nel 1943, che ha come cardini la cultura dell’unità e la fratellanza universale che intende promuovere e diffondere attraverso azioni e iniziative a ogni livello e in ogni campo della vita umana e sociale.

L’Associazione cerca di suscitare una mentalità della solidarietà come elemento determinante dello sviluppo integrale dell’uomo, al fine di instaurare una cultura del dare proiettata alla condivisione delle ricchezze culturali, materiali e spirituali di ogni popolo. A tal fine favorisce, a tutti i livelli, un dialogo e una reciproca conoscenza tra popoli, razze ed etnie, arricchite dall’apporto delle singole culture, nel rispetto dell’identità di ogni singola persona. In particolare, per il conseguimento di un nuovo ordine economico internazionale basato sull’interdipendenza fra le nazioni e una equa distribuzione delle ricchezze, attua iniziative nel mondo dell’economia e del lavoro, con particolare riferimento alle categorie sociali più deboli.

Nell’ottica di sostenere lo sviluppo completo della persona umana e delle diverse realtà sociali, promuove il rispetto della natura e l’importanza dell’ambiente, così come attua attività didattiche e formative per educare alla legalità e alla non violenza, per favorire la pace e l’unità fra i popoli.

Per la promozione e concretizzazione dei suoi obiettivi, l’Associazione sostiene e organizza azioni di solidarietà nei confronti di popoli, comunità, gruppi di persone o famiglie in stato di necessità e collabora con altre associazioni o gruppi, Enti e Amministrazioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, civili e religiose.

Inoltre, cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso l’utilizzo di tutti i mezzi di comunicazione e organizzando convegni, dibattiti, conferenze, corsi di formazione, congressi, workshop, mostre e spettacoli.

In base all’ambito in cui opera, l’Associazione si compone di tre sezioni strettamente interconnesse:

Contatti: info@obiettivofraternita.org

http://www.obiettivofraternita.org




«Straniero e cittadino», seconda edizione del convegno a cura di “Noi siamo con Voi”

Venerdì 23 novembre 2018 presso il Centro Culturale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in corso Bramante 58 a Torino, il comitato interconfessionale “Noi siamo con Voi”, in sintonia con i principi morali e religiosi che sin dalla sua costituzione uniscono i suoi membri, ha organizzato la seconda edizione del convegno internazionale «Straniero e cittadino».

L’edizione 2018 aveva l’obiettivo di permettere al pubblico di ascoltare non relazioni di esperti ma testimonianze dirette del vissuto quotidiano di concittadini provenienti da diverse parti del mondo. I relatori sono stati invitati a dire in positivo ed in negativo la loro visione della città di Torino, che cosa si attendono e che cosa possono dare, fin dove è possibile oggi renderla ‘nostra’.

Un confronto di esperienze che ha consentito a ciascuno di formarsi opinioni e idee per combattere pregiudizio, discriminazione e considerare “l’altro” come uno di noi e non un antagonista.

In un clima di fraternità, dopo i saluti e l’incoraggiamento di Nino Boetti, presidente del Consiglio Regionale e del Comitato dei Diritti Umani, la nipote di Nelson Mandela (di passaggio a Torino con la sua Fondazione) ha tracciato la figura del nonno (da pastore di un villaggio a simbolo del riscatto pagato con 25 anni di carcere, a presidente di una nazione e costruttore di perdono, di pace sociale).

A seguire 8 migranti, provenienti da diversi paesi, hanno raccontato la loro migrazione, il loro inserimento nella società piemontese e il loro contributo alla società torinese. Cinesi, africani, magrebini, peruviani, marocchini di seconda generazione, bengalesi, …

Un giovane imprenditore bengalese arrivato a Torino dopo 6 mesi di cammino attraverso la Russia, Cekia, Austria ha raccontato la sua esperienza lavorativa: da lavapiatti nel giro di un anno a gestore del locale dove lavorava,  risanamento delle finanze e nel giro di 4 anni l’acquisito di altri tre locali dando lavoro a 25 italiani e alcuni migranti. 

Un convegno ricco di suggestioni e indicazioni operative, ma soprattutto tanta speranza nelle circa 200 persone presenti alla serata.

 




Periferie d’Italia: per i giovani parte da qui il cambiamento

COMUNICATO STAMPA – Roma, 1 agosto 2018

Ritornano al Corviale di Roma e, per la prima volta a Torino, i Campus estivi dei giovani dei Focolari tra attività culturali e di riqualificazione del territorio e dibattiti su integrazione, cittadinanaza attiva, mafie e pace. A pochi giorni dall’appuntamento dei giovani italiani con Papa Francesco.

“In tempi come questi, in cui anche la scena politica sembra aver dimenticato i problemi del Paese a favore delle lotte tra le parti, abbiamo deciso di guardare là dove è urgente cambiare. Éper questo che da alcuni anni abbiamo scelto di lavorare nelle periferie delle nostre città”. É così che Raffaele Natalucci, portavoce dei giovani dei Focolari a Roma spiega il motivo della edizione 2018 dei Campus dei giovani dei Focolari che quest’anno si svolgono a Roma (3-12 agosto) e Torino (28 luglio–6 agosto).

Dieci giorni di azione-formazione nelle periferie delle due città per un centinaio di giovani circa, in arrivo da tutt’Italia e non solo, tra i 18 e i 30 anni, per rispondere all’invito di PapaFrancesco di «uscire, per andare incontro agli altri, verso le periferie, verso quelli che sono più lontani». Convergeranno poi con i migliaia di giovani all’appuntamento con Papa Francesco nella Capitale nel weekend dell’ 11 e 12 agosto.

Molte e diversificate le attività in programma: azioni sociali e di volontariato in sinergia con altre associazioni cittadine, laboratori artistici con i bambini dei quartieri, azioni di riqualificazione, corsi formativi e workshop aperti a tutti gli abitanti su tematiche che interpellano quotidianamente (in allegato il programma).

“La periferia: capitale, d’Italia” racchiude l’impegno che da diversi anni i giovani dei Focolari portano avanti nelle periferie del nostro paese (Caserta, Siracusa, Roma). L’obiettivo, come si legge nella “carta d’identità del Campus”, è quello di vivere «un’esperienza che promuove esviluppa relazioni interpersonali, tra associazioni e con le istituzioni, da cui emerge un“Noi” che diventa soggetto agente sul territorio».

A Roma, da venerdì 3 agosto i giovani dei Focolari ritornano al Corviale; filo conduttore delle attività sarà il rapporto tra scelte consapevoli e cittadinanza attiva. Diversi i dibattiti in programma: sulle migrazioni con l’avv. Loredana Leo e l’avv. Flavia Cerino, Claudio Torre operatore S.P.R.A.R. di Roma; sull’ “Inutilità della guerra” con il giornalista Ennio Remondino e il gruppo di Economia Disarmata; “La politica come servizio” con il prof. Claudio Guerrieri, Liceo Montale Roma e Michele Molè, consigliere Municipio IX Milano; “Legalità. Alle mafiediciamo NOi” con il giornalista Gianni Bianco, e tante testimonianze.

Il campus in corso a Torino presso la Cartiera, l’ex fabbrica della circoscrizione IV della città, punta a creare ponti di fraternità in un crocevia di culture e popolazioni, andando incontro ai problemi e alle ricchezze, della periferia situata all’interno del tessuto cittadino torinese.

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Ufficio stampa e comunicazione:

Roberta Formisano
Cell. 3209484000 rformisano7@gmail.com

PROGRAMMA ROME SUMMER CAMPUS 3-12 agosto 2018

vedi anche: www.focolaritalia.it/2018/06/17/summer-campus-2018-limpegno-dei-giovani-nelle-periferie-ditalia/




Sguardi di luce… sulla città, immigrati e Europa

“Sguardi luce. Fanno sempre bene, specie in un mondo dove ce ne sono pochi”. Sono le battute che raccolgo da Anna, che si dichiara non credente, all’uscita dalla sala politivante di Lurisia che quest’anno ha ospitato la prima Mariapoli del Piemonte.

Sguardi di luce. Era proprio il titolo della tre giorni vissuti dal 14 al 17 giugno, da oltre 200 persone di ogni età e categoria sociale. Luce scaturita da momenti di spiritualità e di condivisione, luce che ha illuminato temi caldi di attualità: Europa e immigrazione, Medio Oriente, fine vita e cure palliative, alternati a programmi di relax, escursioni. Per rigenerare anima e corpo.

Non solo. Sullo sfondo alquanto scuro delle sfide della vita pubblica e delle incertezze economiche e politiche, in un clima che fa apparire la fraternità un lusso per pochi, uno sguardo di luce ha illuminato anche la vita della città, della città di Bra.

E sono i giovanissimi insieme alla loro sindaca che stupiscono:  la fraternità diventa stile di vita pubblica! La fraternità, elevata a categoria politica, iscritta da anni nello Statuto della città, non è rimasta lettera morta. Sono due adolescenti che, col supporto di un power point, la  mostrano in atto,  in fedeltà al loro  slogan: ColoriAmo la città.  Si traduce in mille iniziative che vanno dal dipingere le pareti della scuola, ai muretti bistrattati  della città, alla raccolta di cicche per terra, ripulitura dalle erbacce, visita agli anziani nei ricoveri. Per lasciare ovunque un segno di amore per contagiare con la loro felicità. Che nasce da quella vita rivoluzionaria del Vangelo appresa dalla cittadina onoraria di Bra: Chiara Lubich.

E’ con un certo orgoglio che passano la parola alla sindaca, Bruna Sibille, di cui si sentono grandi alleati. “Le iniziative di questi ragazzi  – sottolinea – hanno contaminato quelli che hanno qualche anno in più, altre comunità, come quella albanese, i concittadini che si occupano del settore edile, gruppi di ortodossi insieme al loro pope, un gruppo di rumeni e altre realtà dei quartieri”. “Nel settembre prossimo – ha annunciato – prima dell’inizio delle scuole, si ritroveranno per continuare a lavorare insieme”.   Uno dei tre punti programmatici alla base del suo mandato che ora si sta per concludere è proprio “l’accrescimento della coesione sociale passando dall’idea di città all’idea di comunità inclusiva”. “I ragazzi  – ha riconosciuto – sono stati un collante molto importante in questa direzione”. “Così – ha aggiunto –  si mettono le basi per dare un segnale importante su come amministrare una città e formare le nuove generazioni di amministratori, proprio nel momento in cui ci sono esempi negativi”. “Se si cura la propria città  e il bene comune – ha concluso – si ha una città molto più sicura e si superano molti mali che non sempre sono reali, ma virtuali, ancor più difficili da vincere”.

Sguardi di luce su immigrazione e Europa

Una luce che, tra i temi di attualità approfonditi, ha illuminato  il dramma degli immigrati e l’Europa, al centro dell’attenzione internazionale in questi giorni, e le iniziative di solidarietà e di fraternità in atto.

Franco Chittolina, fondatoredi A.P.I.C.E., (Associazione per l’Incontro delle Culture in Europa),  che ha vissuto più di due decenni nelle istituzioni europee, ha avvertito: “il fenomeno migratorio non è un’emergenza, durerà decenni. Non basta dire: ‘Aiutiamoli a casa loro’. Dobbiamo aver presente che, con il colonialismo, li abbiamo rapinati delle loro ricchezze e continuiamo a farlo.  Sarebbe il momento della restituzione”.

Ancora, ha messo in guardia dai pericoli dell’insorgente “nazional populismo”, non solo italiano, che “nasce dalla paura dell’altro, si trasforma in rabbia, diventa rifiuto dell’altro”. Ha richiamato l’articolo 11 della nostra costituzione che non solo afferma il ripudio della guerra, ma prevede “le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni“.“Certo – ha aggiunto – di fronte a problemi nuovi come quello dell’immigrazione, bisogna rompere gli schemi. L’attuale progetto di Europa non ha bisogno solo di un po’ di manutenzione, bisogna inventare qualcos’altro”. A Lurisia si è risposto anche ad un sondaggio di opinione che si inserisce in quello promosso dal Consiglio d’Europa, in ascolto di criticità ed esigenze dei cittadini.

Spiragli di luce sull’Europa sono apparsi da un cammino di comunione iniziato all’inizio del 2000 da una rete di movimenti e nuove comunità di varie Chiese, di tutta Europa dell’Est e dell’Ovest. Ha un nome programmatico: Insieme per l’Europa. A Lurisia se ne è rivissuta la nascita tramite le immagini della prima grande manifestazione del 2004 che ha continuità ed evoluzione sino ad oggi. Un contributo a ritrovare un’anima, le radici della fraternità, ben consapevoli che l’Europa non può vivere di sola politica o di sola moneta.  

E quanti semi di fraternità sono gettati nel quotidiano! Lo hanno mostrato le storie raccontate a Lurisia, come quella di chi pur avendo superato gli 80 anni dà ai giovani africani, con lezioni di italiano, un’amicizia vera. O come dicono quel concatenarsi di fatti di generosità che arrivano a dar loro lavoro. Ed altri episodi dove sorprendenti sono gli interventi della provvidenza quando ci si prodiga verso chi più è nel bisogno. E potremmo continuare. Questi sguardi di luce hanno suscitato speranza, insieme ad una più consapevole responsabilità come cittadini. 

Carla Cotignoli




Gli scarponi provvidenziali

Spesso, incontrando persone in condizione di bisogno, mi viene da pensare al samaritano del Vangelo che, trovando un uomo ferito lungo la strada, si ferma per prendersene cura.

Nella mia infanzia e giovinezza ho vissuto in una situazione di grandi difficoltà economiche, e spesso ho fatto l’esperienza dell’amore di Dio, anche attraverso l’aiuto di tanti prossimi. E, cercando di fare anch’io la mia parte, ho fatto esperienze a volte davvero sorprendenti.

Quegli anni hanno lasciato in me una forte sensibilità verso le persone che sono nel bisogno. Spesso dico agli amici che, un po’ come il Samaritano, quando Dio mi mette vicino qualcuno in grave necessità, non riesco a voltarmi dall’altra parte.

Oggi in situazione di grave necessità si trovano spesso persone di origine straniera, che sovente mancano proprio di tutto. Uno degli obiettivi più importanti per loro, per la loro autonomia e per la loro dignità, è trovare un lavoro. Ma come ben sappiamo la ricerca di un’occupazione è oggi un percorso estremamente difficile.

In questi ultimi mesi, per una serie di circostanze davvero provvidenziali, anche tramite contatti con amici impegnati su questo stesso fronte, abbiamo potuto avviare a un lavoro dignitoso ben 7 giovani. Non è stato facile, anche per i molti ostacoli burocratici, ma ho avvertito che Qualcuno metteva insieme le cose al di là di noi.

Vi racconto a conferma di ciò un episodio di poco tempo fa, piccolo ma per me molto significativo, che mi ha lasciato davvero sbigottito. A volte qualcuno mi lascia del vestiario o alimenti per persone in necessità. Di queste cose mi era rimasto in garage un paio di scarponi un po’ grandi, quasi nuovi, a cui non avevo ancora trovato un destinatario. Una sera, riordinando alcune cose, mi viene da guardare di che numero siano quegli scarponi. Sono un 44.

Pochi giorni dopo riesco a trovare un lavoro per Bob, giovane amico senegalese, disoccupato da più di un anno. Si tratta di un lavoro nelle vigne che ci sono dalle mie parti. La sera prima di iniziare, alle 22.30, Bob mi gira un messaggio del suo nuovo capo, che gli scrive: “Portati degli scarponi perché ha piovuto e c’è molto fango”.

Se fosse dipeso solo da me non avrei potuto venirgli incontro a quell’ora di notte. Il lavoro cominciava la mattina alle 6.30. Invece gli ho semplicemente risposto: “Che numero di scarpe hai?” Potete immaginare la sua risposta. E la mia immensa sorpresa nel constatare che un Altro aveva provveduto. La sera successiva Bob mi dice: “Per fortuna che mi hai portato quegli scarponi, se no non avrei proprio potuto lavorare!”.

Spirito O.




Summer Campus 2018: l’impegno dei giovani nelle periferie d’Italia

“La periferia: capitale d’Italia” è il titolo che i Giovani del Movimento dei Focolari hanno scelto per i Summer Campus che quest’anno si svolgeranno a Torino e a Roma. Due città, la prima storica capitale d’Italia e l’attuale, unite da una prospettiva comune: concepire la periferia come valore, come “capitale” umano e sociale.

E’ iniziato il Summer Campus di Torino, vedi articolo:

 https://www.cittanuova.it/iniziato-torino-summer-campus/

“Dai semi di speranza piantati pazientemente nelle periferie dimenticate del pianeta, da quei germogli di tenerezza che lottano per sopravvivere nel buio dell’esclusione, cresceranno alberi grandi, sorgeranno boschi fitti di speranza per ossigenare questo mondo”. Le parole di Papa Francesco, trascritte in un murales all’entrata della scuola Martoglio di Siracusa, sede del primo Summer Campus nel 2014, sono rimaste impresse nella memoria dei Giovani per un Mondo Unito, che, nella “Carta d’identità del Campus” redatta di recente, lo hanno definito come “un evento estivo inserito in un progetto più ampio in risposta ad un’esigenza sociale di una determinata periferia e aperto a giovani dal Nord al Sud dell’Italia che diventano protagonisti di un’esperienza di donazione, scambio e confronto”.

Il “Torino Summer Campus” si svolgerà dal 28 luglio al 6 agosto presso la Cartiera, un’ex fabbrica della Circoscrizione IV della città. In seguito ad un’opera di riqualificazione è diventata uno spazio polivalente a disposizione del territorio, gestito da un coordinamento di enti associativi con sale per la danza, spazi per la psicomotricità, una palestra e un’area teatrale. L’obiettivo di questa riconversione è quello di creare un luogo di socializzazione e aggregazione dove i ragazzi possono essere protagonisti e instaurare rapporti con il tessuto culturale e sociale cittadino. L’area in cui questa realtà si inserisce è abitata da numerose famiglie composte da immigrati di prima e seconda generazione.

Ed è proprio in questa dimensione interculturale che il Campus andrà a collocarsi. Seguendo il format collaudato di azione-formazione le mattinate verranno dedicate ad attività con i bambini del quartiere, con divisione in laboratori di danza, musica, teatro, pittura-riciclo e giornalismo. I bimbi, così divisi in base alle loro passioni, avranno il compito di portare in scena uno spettacolo nella serata finale. I momenti pomeridiani invece verranno utilizzati, dagli iscritti all’esperienza Campus, per approfondire temi attuali attraverso una serie di momenti di formazione. Gli argomenti affrontati saranno molteplici e spazieranno dal Fine Vita alla Legalità, dalla Guerra alla cura dell’ambiente che ci circonda. L’obiettivo del Campus di Torino è quello di creare ponti di fraternità in un crocevia di culture e popolazioni, cercando di andare a toccare con mano i problemi, ma anche le ricchezze, di una periferia situata all’interno del tessuto cittadino torinese.

Il “Rome Summer Campus”si svolgerà dal 3 al 12 agosto a Corviale, un quartiere situato nella zona sud-ovest della capitale, noto per il “Serpentone”, una controversa opera architettonica di 958 metri in cui vivono più di 8000 persone, e per il “Campo dei Miracoli”, sede del progetto “Calciosociale”, che, cambiando le regole del gioco, promuove i valori dell’accoglienza e del rispetto delle diversità. Sarà questa struttura, attrezzata con palestra e campi sportivi, la base operativa dove risiederanno i giovani partecipanti il cui obiettivo è quello di aprirsi al quartiere e mettersi in ascolto di quanti vi abitano. In linea con il format, che prevede l’alternanza di azione e formazione, durante le mattinate verranno svolte opere di riqualificazione del quartiere, attività a favore dell’associazione “Sempre Persona”, che sostiene le famiglie di ex detenuti in stato di indigenza, e alcuni laboratori per i più piccoli, quest’ultima iniziativa sorta grazie alla collaborazione con la parrocchia di San Paolo della Croce situata nel quartiere Corviale.

Durante le notti del 4 e del 10 agosto i giovani animeranno le puntate di Radio Impegno: una web radio (www.radioimpegno.it), che va in onda in diretta streaming da mezzanotte alle 8 del mattino dalla struttura del Campo dei Miracoli. Nei momenti pomeridiani si avrà un focus iniziale su periferie, spazi urbani e relazionali ed alcuni laboratori interattivi su tematiche come la legalità, la cittadinanza attiva o il disarmo, collegate da un filo conduttore: il valore delle scelte secondo coscienza nella prospettiva di crescere come cittadini attivi e incidere nella società. Infine l’11 e il 12 agosto, insieme a giovani provenienti da tutta Italia, sarà possibile partecipare al Pre-sinodo con il Papa al Circo Massimo, un evento che segnerà, idealmente, la tappa finale del percorso intrapreso con il Campus.




Mariapoli 2018 – Lurisia (CN)




Il ruolo delle donne nel dialogo interreligioso e interculturale

Sabato 10 febbraio a Cuneo si è svolto un incontro molto partecipato, posticipo della giornata annuale sul dialogo Cristiano-Islamico che si celebra di solito in autunno.
L’evento è stato promosso dall’Associazione Islam Cuneo, l’Associazione Orizzonti di Pace, il Movimento dei Focolari, la Scuola di Pace di Boves, la Comunità di Mambre e con il patrocinio del Comune di Cuneo, e il tema di quest’anno era “Il ruolo delle donne nel dialogo interreligioso e interculturale”.
Il Movimento dei Focolari è stato presente sia nella preparazione che nello svolgimento del programma, e anche tra il pubblico.
Per la preparazione ci si è incontrati più volte con un piccolo gruppo misto cristiani-musulmani, e, su nostra proposta, si è deciso insieme di avventurarsi in un programma che non fosse solo una conferenza di esperti, con successive domande e risposte, ma che ci fossero anche esperienze concrete che aiutassero a toccare con mano che il dialogo è possibile, a partire dal quotidiano e da chi abbiamo vicino.
La serata ha visto alternarsi diversi interventi e video-testimonianze. Ha cominciato una giovane esponente del movimento “Partecipazione e Spiritualità Musulmana” (PSM) che ha parlato del suo essere musulmana in Italia, ed in particolare del significato profondo del portare il velo.
E’ seguito il video che testimoniava l’esperienza di un bel cammino condiviso di amicizia profonda anche spirituale tra donne musulmane e cristiane, portato avanti a Cuneo tra alcune componenti della comunità islamica e donne che ruotano intorno all’Associazione “Orizzonti di pace”.
L’esperienza dell’amicizia di Tatiana e Bashma (in video), due donne, una cristiana e l’altra musulmana, ha colpito molto! Il loro essere profondamente sorelle, dopo un’esperienza dolorosa vissuta insieme, è stata una forte testimonianza.  
Si è presentata la figura di Chiara Lubich in quanto donna del dialogo a tutto campo, e la sua pedagogia basata sulla “regola d’oro” presente anche nell’Islam.
In conclusione, l’esecuzione della canzone del Gen Verde “Accendi la pace” da parte di un coro composto da una quindicina di ragazze musulmane e cristiane, le quali si erano preparate attraverso ben quattro momenti di prova precedenti, e ciò ha costituito già di per sè un’esperienza positiva di relazione tra le diverse culture.
La serata ha visto la partecipazione di oltre 150 persone, sia musulmane che cristiane, e si è svolta in un clima di grande rispetto, cordialità e amicizia.




Da Vallo al mondo: 50 anni di Movimento Parrocchiale con passione per la Chiesa

Una bellissima giornata di sole ha accolto domenica 8 ottobre quanti sono saliti  sui colli della Val di Lanzo, a Vallo (TO), per festeggiare il 50° esimo della fondazione del Movimento Parrocchiale.

Un sole che rispecchiava il clima gioioso e luminoso che si respirava in questo evento. Il segreto della sua diffusione nel mondo e dei suoi molti frutti, lo si leggeva nel titolo che campeggiava nell’auditorium del Centro Maria Orsola: “50 anni di storia e una passione per la Chiesa”.

Titolo convegno

Gremivano la sala animatori laici e sacerdoti di questo movimento giunti da varie regioni italiane (Liguria, Sicilia, Lombardia, Campania, Emilia Romagna, Veneto …). C’erano anche un cardinale, João Bráz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e un arcivescovo, mons. Giuseppe Petrocchi, dell’Aquila.

Che questa festa si svolgesse a Vallo non è un caso, perché proprio qui, la comunitá che si era formata attorno a mons. Vincenzo Chiarle, fu “tra le prime a vivere lo spirito dell’Unità e testimoniare un autetico stile di vita evangelica nell’ambito della parrocchia, ravvivandone spirito e strutture”, come ha evidenziato Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, nel suo messaggio.  

La comunitá di Vallo Torinese, pur piccola nelle dimensioni, è stata indicata da mons. Petrocchi, come modello di “chiesa viva”. E tale è stata ed è, se da questa comunitá  è fiorito un esempio di santitá, quale è la sedicenne Maria Orsola, ora in cammino verso il riconoscimento ufficiale.

Daniela, testimone di quei tempi, ha raccontato dei campi scuola estivi e invernali, dei viaggi all’estero e in altre regioni italiane dove la comunitá di Vallo era chiamata a dare la propria testimonianza, anche con il complessino dove lei cantava accanto a Maria Orsola per portare a tutti la novitá del Vangelo.

Nel ripercorrere a grandi linee le tappe dei 50 anni di  storia si è mostrato il filo d’oro che parte dall’intuizione di Chiara Lubich sin dagli anni ’40, dell’influsso innovativo che avrebbe potuto avere la spiritualitá di comunione sulle comunitá parrocchiali, alla passione per la Chiesa che aveva trasmesso ai membri dei Focolari, tuttora mantenuta viva, sino a quello storico incontro del 1967 nei pressi di Roma in risposta all’invito che Papa Paolo VI aveva rivolto l’anno prima ad un gruppo di sacerdoti e religiosi che vivevano lo spirito dell’unitá, a portarla nelle parrocchie e nelle diocesi, che avevano segnato la nascita del Movimento parrocchiale.

Un tuffo nei frutti del passato che si intreccia con il presente. Tutt’oggi Vallo è meta di gruppi di giovani e di comunitá parrocchiali, per la comunione che viene mantenuta viva tra tutti dove si sperimenta – come ancora ha sottolineato mons. Petrocchi, – quell’unitá umano-divina che rende presente spiritualmente Gesú stesso.

Comunione che è primo impegno di vita nelle molte comunitá diffuse oggi in tutte le regioni d’Italia e in molti Paesi del mondo.  La testimonianza di Bruno e Luisa, coniugi di Cavi di Lavagna (GE) che da anni sono a servizio della loro parrocchia, ha reso visibile come la strada verso l’unità passi anche da momenti difficili, arrivando ad esempio a rinunciare ai già consolidati gruppi della Parola di Vita per non venire meno all’unità con il nuovo parroco.

Foto di gruppo
Foto di Antonio Spina – Card. Joao Braz de Aviz con mons. Vincenzo Chiarlie e i genitori di M.Orsola

La ricerca dell’unità ad ogni costo è stato filo conduttore anche dell’esperienza dentro alle mura vaticane raccontata dal cardinale brasiliano João Bráz de Aviz.

Toccante l’esperienza di  Luca, che grazie al sostegno nella preghiera e nell’amore scambievole con gli altri giovani, ha trasformato dolori e incognite provocate dal grave incidente stradale di cui è stato vittima, in un tempo di riscoperta della preghiera, della preziositá dell’amore di chi hai attorno, della vita che ti puó essere tolta in un attimo.

A conclusione di questa intensa giornata ci sembra di poter dire che quanto auspicato dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia nel suo augurio letto in apertura si è attuato: 50 anni di storia. Ripercorrerli è “tornare all’origine del vostro carisma”, e ripartire con nuovo slancio verso le sfide future. 

Di Carla Cotignoli e Daniela Baudino

 




Mariapoli 2017 a Bardonecchia (TO)

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Focolarini al Sermig nel nome della famiglia

Torino

Fonte: http://www.lavocedeltempo.it/

Una chiesa un po’ originale, con un paravento davanti all’altare, ma pur presente una grande croce che domina la platea gremita di fedeli. Alla chiesa del Sermig di Torino sono tantissimi i “focolarini” ad aver risposto all’invito del Movimento dei focolari per celebrare, il 1 aprile, il nono anniversario dalla morte della fondatrice Chiara Lubich.
In questa occasione, si è voluto porre l’accento su un tema fondamentale sia per la Chiesa cristiana che per il movimento, un tema sostenuto da un’esortazione, espressa dalla fondatrice durante un’intervista nel 1993: “siate famiglia!”.
Nella filosofia di Chiara Lubich, le famiglie del movimento devono essere “seme di comunione per l’umanità del terzo millennio”, un modello di amore, di accoglienza e di affetto volte a umanizzare – e sensibilizzare – le strutture e le istituzioni del mondo: perchè è la famiglia a cambiare il mondo di domani. A un momento di riflessione iniziale, accompagnato dalla canzone “Costruire” di Nicolò Fabi, è seguito un confronto fra le testimonianze di quattro famiglie e quindi fra diverse tipologie di amore in famiglia: quello tra i coniugi, tra fratelli e tra una famiglia e un bambino adottato.
Ma la vocazione formativa del movimento non permette che ci si fermi qui. Nel pomeriggio si è continuato con quattro workshop di riflessione e dialogo: come la famiglia affronta i problemi di comunicazione, di dolore, di relazione. Momenti che richiedono di mettersi in gioco, sempre al fine di contagiare l’altro attraverso semi di speranza, come la fondatrice avrebbe sperato. –

http://www.lavocedeltempo.it/Chiesa2/Diocesi/Focolarini-al-Sermig-nel-nome-della-famiglia




L’Arte di amare: la crisi diventa opportunità di cambiamento

Viviamo in un tempo di crisi. Crisi in cui Papa Francesco legge “sfide e opportunità”. Di fatto non sono pochi i bagliori che gettano luce sul buio della paura e dello smarrimento diffuso che serpeggia nella società. Ma rischiano di non essere intercettati a causa di un’informazione sbilanciata sul negativo.

Ed è perciò che vogliamo dar spazio a quanto domenica scorsa ci hanno comunicato giovani e giovanissimi, al Centro regionale di formazione del Movimento dei Focolari della nostra città (a Bra in provincia di Cuneo) che non a caso porta il nome “Raggio di luce”. L’auditorium era gremito. Ricorreva il 9 anniversario della morte della fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, e si celebravano i 20 anni di vita del Centro. Sul palco sono proprio loro, giovani e giovanissimi che presentano, animano i canti, danno la loro testimonianza.

Crisi dei migranti? Tra le accuse, quella di rubare il lavoro agli italiani. Puó capitare che sia proprio un immigrato che procura un posto di lavoro e non di poco conto, ad un italiano. E’ quanto ha vissuto Gabriele di Ivrea. Era in cerca di lavoro e gli capita di incontrare un giovane amico bengalese arrivato anni fa in cerca di lavoro e che dopo tante difficoltà è riuscito a stabilirsi qui con la famiglia.

Venuto a sapere della sua ricerca infruttuosa, lo informa che il Console del Bangladesh sta cercando un italiano come assistente nello staff locale. Gabriele è ora segretario del Console, musulmano. Suo compito: far da ponte con le istituzioni italiane. L’amicizia si estende ai colleghi. Pranza con loro. Gli servono i pasti senza posate… C’è chi si premura di cercarle. “No no, voglio mangiare come voi…”. Colpisce  questa disponibilità… “Piccolissime cose che mi capitano ogni giorno.  Il mio impegno? Cercare di “entrare nell’altro” fare le cose concrete come l’altro le fa, entrare in una cultura completamente diversa”.

Crisi dei giovani? E’ la volta di Federica, sedicenne: “Chi,  volendo dare sempre il meglio di sé, non si è mai  trovato in difficoltà?  Volevamo trattare bene chi avevamo intorno, ma abbiamo risposto malamente, volevamo aiutare e invece siamo stati d’intralcio, volevamo dare ma è prevalso l’egoismo. Insieme ai  miei amici  abbiamo cercato uma soluzione”. Quale? Federica continua: “E’ più facile amare il prossimo sapendo che da qualche altra parte qualcuno sta cercando di fare lo stesso!”.

Nasce l’idea di stringere tra loro un “patto”.  Ognuno si  impegna ad essere costante. Funziona! Lo comunicano ad altri coetanei. Nasce l’idea di cercare qualche cosa che li aiutasse a ricordarsene ogni giorno: e cosi intrecciano braccialetti di spago bianco. Davvero un grande aiuto! Questa esperienza si diffonde. La comunicano dapprima  a tutti quelli che conoscono nella loro città, poi insieme si cimentano a scrivere un articolo. Lo pubblicano sul loro giornale: “Teen” che non solo è diffuso in tutta Italia, ma anche negli altri continenti!

Quale il segreto di queste esperienze? L’allenamento nel vivere l’arte forse piú difficile: l’arte di amare. Ne parla con grande incisivitá Chiara Lubich stessa, in una videoregistrazione.  “’Dio è amore’, esordisce: “vuole che noi siamo amare”. Come? Indica quattro punti.

1) “Amare come sé: l’altro sono io. L’altro ha fame? Io ho fame…. Se si ama con questo disinteresse l’altro non resta indifferente…”.

2) “Amare tutti. Quello che è bianco, nero, simpatico o meno… Tutti quelli che incontro durante il giorno”.

3) “Amare per primi senza aspettarsi niente dall’altro… E ancora: “Farsi uno con gli altri, farci l’altro, entrare nell’altro. Ne ho fatto esperienza:  sarà una rivoluzione!”.

Una rivoluzione che entra anche nelle istituzioni, nella política… In quella sala sono presenti anche  la sindaco Bruna Sibille, assessori e consiglieri comunali. Dal 2002 Chiara Lubich è cittadina onoraria. Bra è partecipe del progetto internazionale: Cittá per la fraternitá. Il “principio di fraternitá” è iscritto nello statuto stesso dell’amministrazione comunale.

Gesti di facciata? Le radici di questi sviluppi  risalgono agli anni ’70 quando un sacerdote inizia a vivere l’arte di amare, la spiritualitá di Chiara Lubich con un gruppo di ragazzi. Da adulti alcuni si troveranno a lavorare nell’amministrazione comunale. Ora altri ragazzi del Movimento sono impegnati a “colorare la cittá”, con mille iniziative di solidarietá, in collaborazione con le istituzioni…  ´”Si è tessuto cosi, a partire dai giovanissimi, il futuro ora presente: è in atto con numerose iniziative dalla scuola di pace, al parlamento dei ragazzi… Ma l’elenco sarebbe lungo.

Carla Cotignoli




In Piemonte in dialogo su Martin Lutero

A 500 anni dall’inizio della riforma protestante ci si incontra per testimoniare il cammino fatto insieme e prendere spunto dalla ricca figura di Lutero per proseguire questo cammino con rinnovata passione. Per celebrare questo importante anniversario, il Movimento dei Focolari presente in Piemonte e Valle d’Aosta il 1 febbraio scorso ha organizzato due serate, una Torino e una a Bra in provincia di Cuneo. Relatori di alto livello hanno reso entrambe le serate momenti ricchi di cultura e di profonda spiritualità.

A Torino 150 persone hanno seguito con grande interesse i contributi di don Hubertus Blaumeiser, esperto cattolico di Martin Lutero e Membro del Centro interdisciplinare di studi «Scuola Abbà» e  del Pastore Heiner Bludau, Pastore della Comunità Luterana torinese e Decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Sulla provocazione del titolo “Cosa ha da dirci Lutero oggi” si sono susseguiti gli interessanti interventi e le risposte alle molte domande di un pubblico attento e interessato.

La delicatezza con cui Hubertus Blaumeiser ha proposto la poliedricità della figura di Lutero e ha introdotto alla linfa che scorre nella sua teologia, la semplicità con cui il Pastore Heiner Bludau ha presentato la vita della Comunità luterana in Italia e in particolare a Torino sono stati in sé un luminoso esempio di dialogo fraterno. Interessante rilevare che in Torino la chiesa luterana è ospitata per il culto dai Frati Minori nella chiesa di S. Antonio da Padova: occasione di ecumenismo pratico, vissuto, con condivisione e partecipazione reciproca a varie iniziative.

A Bra 150 persone provenienti da tutta la provincia di Cuneo hanno gremito la Chiesa barocca dei Battuti Bianchi: rappresentavano la società civile, c’erano giornalisti, tutti i parroci della città, il rettore del Santuario della Madonna dei fiori, gli ordini religiosi locali, cittadini cattolici e riformati. Relatore di eccezione il Pastore Valdese Paolo Ricca che a caldo ha commentato l’evento: “… qui a Bra stiamo vivendo un momento unico, un momento assolutamente nuovo che non era mai successo prima per la città di Bra: in 500 anni non era mai successa una cosa come questa, mai! Questa è una primavera spirituale, ecclesiale, culturale che capita in questa chiesa che sarà pure barocca, ma va bene lo stesso, perché la cosa che accade in questa chiesa è una primavera”.

In entrambe le serate è stata comune l’impressione di vivere un importante momento di quel dialogo ecumenico, dialogo della vita e dialogo di popolo, iniziato già nel 1960 da Chiara Lubich.
Come ha auspicato il Pastore Bludau ora “tocca ora a noi riunire ciò che gli eventi storici hanno separato per vivere insieme la fede cristiana in una chiesa apostolica e universale, come professato nel Credo comune”

 




Io accolgo te: i segreti del “per sempre”

Una “confusione creativa” ha invaso domenica 15 gennaio il centro Mariapoli Raggio di Luce di Bra per un’iniziativa promossa da Famiglie Nuove del Piemonte e rivolta a tutte le famiglie che avevano voglia di “rinfrescare” un po’ il loro matrimonio.

Hanno risposto in circa 350 persone, insieme ai propri bambini e ragazzi, provenienti da tutto il Piemonte, per venire ad ascoltare Padre Graziano Malgeri, frate minore della Provincia Serafica di Assisi, da oltre dieci anni impegnato nell’accompagnamento di giovani e famiglie. Il titolo del suo intervento, cuore della giornata, è stato “Io accolgo te. I segreti del «per sempre»”. Si è trattato di un approfondimento sulla teologia del Rito del Matrimonio con una lettura attualizzata dello stesso, facendo una sorta di “visita guidata” al santuario rappresentato dal matrimonio di ciascuna coppia.

Accanto alle citazioni di vari documenti della Chiesa e ai collegamenti con l’Amoris Letitia l’intervento è stato intramezzato con squarci su esperienze delle coppie in contatto con lui e da momenti scherzosi che hanno reso interessante e “leggera” l’ora e mezza passata ad ascoltarlo.

Nella mattinata c’è stato anche un breve momento per una condivisione in ciascuna coppia delle prime impressioni suscitate dal frate e lo spazio per ascoltare due esperienze di famiglia sull’attualizzazione del tema.

Nel pomeriggio un’oretta di domande e risposta con padre Graziano, riprendendo i temi trattati nella mattinata, e poi la S. Messa con il rinnovo delle promesse matrimoniali.

Era presente anche un gruppo di fidanzati che nel pomeriggio hanno approfondito e condiviso a parte quanto suscitato dai tanti stimoli ricevuti sulla vita di coppia secondo il disegno di Dio.

Padre Graziano è stato anche ospite di un gruppetto di persone che vivono la separazione e che si trovano periodicamente per condividere il proprio cammino..

Accanto al programma in sala sono stati offerti momenti di animazione per bambini (erano circa 45 dai 4 agli 8 anni), per ragazzi (erano in 25) e un servizio di babysitting per i più piccoli.(circa una ventina) In questo modo si può proprio dire che la giornata ha visto protagonista la famiglia a 360 gradi.

Abbiamo raccolto alcune impressioni sulla giornata da famiglie di tutte le età, dalle coppie appena sposate a nonni con più nipotini, e da molti emergeva una grande gioia per avere avuto l’occasione di fermarsi un attimo con il proprio partner per riflettere a che punto erano rispetto al disegno di Dio su ciascuna coppia.

La grande affluenza di persone ci ha fatto riflettere sull’esigenza che c’è in tante famiglie di trovare alcuni momenti per andare in profondità nel rapporto con Dio e con la propria moglie o marito e ci sprona come realtà di Famiglie Nuove a trovare modi e strade per essere sempre più e meglio al servizio di questo pezzetto di umanità.